giovedì 22 gennaio 2009

new york: corollari poetici


INTROITO

Si entra in una città sconosciuta
come in un vestito nuovo

ci si avvolge di un guscio lucente

si immagina di parlare con il noi
nell’aria senza sfregi

si possono percorrere con lo sguardo distanze
inverosimili.

La mente è netta
i pensieri senza scorie.


* * *


Y.M.C.A.

Con tutte quelle persone
il gioco era scivolare sulle vite nel passaggio
dalla terra al grattacielo
assecondare gli spigoli

era affondare in Greenpoint come in una cruna
aspettare l’eco dei rumori
sgominare la matassa cercare l’unica
voce umana.

Un’altra sosta era la curva del corridoio
(the hallway) dove si attraversava l’odore di olio bruciato

anche lì si trattava di cercare l’angolo giusto
che ti avrebbe rivelato la fenditura.
Questo, piuttosto che le liste di appuntamenti (schedule)
o l’euforia della luce piena a Washington Square

(lì molti si sono gettati
dall’ultimo piano fin nel vuoto lucido
e ora tutto è transennato
i vetri puliti i libri a portata di mano

ma ci sono momenti che la carne vive
sotto i tavoli ad esempio
o nel movimento di compressione necessario
a raggiungere gli scaffali più bassi
).

Come amavo l’umiltà delle schiene nude
i piedi in fila le maree degli odori.


* * *


EAST HOUSTON STREET

Downtown è già abbastanza triste
senza bisogno di trombe sordinate.
Un mare di piombo sigilla le linee prospettiche.
Rasoterra si smarrisce l’organizzazione formale
e le rette perpendicolari cedono il posto ai detriti.
E allora meglio
la vernice gonfia l’odore stremato del ferro caldo e della gomma
lo stridore paziente delle cremagliere

i tunnel non conducono alle Madri
solo a pozze di pioggia isole di canto

si ha sempre la sensazione di essere più giovani
di quanto si dovrebbe.


* * *


LUNGO BROADWAY

New York, tutto sommato, è stata
una topografia della di solitudine.
Vorrei insistere sui luoghi di passaggio
sulle ragazze portoricane che aspettano
con la ringhiera stampata dietro le cosce.
Un giorno probabilmente qualcuno è stato qui
a guardare con la camicia aperta sul petto
la faccia corrosa dal sole
quando l’odore era ancora quello della corda tesa
e del catrame caldo.
Ma è passato molto tempo: chi sospira viene subito nascosto
solo la spazzatura si esibisce
la fermentazione trionfante
la fame futura.

Non riesco a credere ai colori autunnali di Central Park
né ai suoi scoiattoli.

Eppure ci dovrebbe essere ancora qualcuno ad aspettare
per scremare il latte bollito tirare ago e filo
tra i denti asciugare il lavello
prima o poi i grattacieli saranno secchi come vecchie ossa

e ci saranno voci snelle corpi trapassati dalla morte
che torneranno ad occupare l’orizzonte
asseconderanno i colori
consumando lenti fuochi nelle gole trasparenti.

2 commenti:

antonio lillo ha detto...

non so se pubblicando queste poesie hai pensato anche a me, ma grazie :-)

sergio pasquandrea ha detto...

Diciamo che i tuoi commenti sono stati lo stimolo a ripescare queste vecchie poesie... quindi grazie a te!