giovedì 26 febbraio 2009

anniversari


Oggi a Perugia era una bella giornata. Dopo pranzo l'aria era quasi calda, perciò mi sono deciso a fare quel che avrei dovuto fare da parecchie settimane, da prima che le piante cominciassero a cacciar fuori le gemme nuove: ho vinto la mia idiosincrasia per i lavori manuali e il mio odio per il mondo vegetale, ho indossato abiti vecchi e guanti da giardinaggio, ho impugnato cesoie e forbicioni e mi sono messo a cimare la siepe di Crataegus (vulgariter biancospino) che separa il mio giardino dalla strada.
Come succede quando si fanno lavori manuali, dopo un po' la mente si è sganciata e ha cominciato a vagare per conto proprio, mantenendo con la realtà solo quel minimo di contatto necessario a decidere punto e angolazione del taglio e ad evitare le spine, lunghe, dure e affilate come denti di pescecane.
Per una catena di pensieri che qui non è il caso di ricapitolare, sono arrivato a Italo Calvino, e in particolare a certi suoi saggi letterari. E così, per puro caso, mi sono ricordato che qualche giorno fa, il 22 febbraio, facevano dieci anni dalla mia laurea.
Il 22 febbraio 1999 ero uno studente fuori sede non ancora ventiquattrenne (ventitrè anni, undici mesi e diciannove giorni, per la precisione), con una barbetta castana rada e tendente qua e là al rossiccio che non si decideva a trovare un verso e lasciava scoperte chiazze di pelle, magro e allampanato ancor più di adesso (e ancora adesso sono un bel po' magro), imbottito di letture e di jazz. Da pochi mesi stavo insieme alla ragazza che, sette anni più tardi, avrei sposato. Stavo spurgando gli ultimi residui della mia adolescenza ed ero in attesa della chiamata per il servizio civile.
La mia tesi era una voluminosa trattazione dell'opera saggistica di Calvino.
Italo Calvino era sempre stato uno dei miei amori, da quando in terza media la mia professoressa d'italiano, amica di famiglia, mi aveva regalato "I nostri antenati". L'opera narrativa l'avevo già letta tutta, anche più di una volta, e per scrivere la tesi mi ero tuffato in quella saggistica, distruggendo a furia di note e sottolineature i due volumi dei Meridiani Mondadori.
Ne era venuto fuori un tomone di oltre trecento pagine, nel quale seguivo l'evoluzione del Calvino critico letterario e teorico della letteratura, e in particolare il modo in cui i suoi saggi rispecchiavano i mutamenti della sua scrittura e della sua visione del mondo.
La tesi è rimasta lì, su uno scaffale della casa in Puglia, a prendere polvere. Per motivi che sarebbe lungo e inutile spiegare, non ho proseguito su quella strada ma ne ho prese altre, e in fondo è stato meglio così.
Però oggi non ho resistito alla tentazione: ho frugato nella memoria dello scassatissimo, antidiluviano computer che usavo all'epoca (e che, incredibile, si accende ancora) e ne ho estratto i file della tesi, per miracolo ancora leggibili.
Ci ho ritrovato un ritratto quasi commovente di quel che ero allora, con tutti i turgori stilistici, le ridondanze argomentative, la voglia di dire tutto su tutto.
E, se devo essere onesto, ci ho ritrovato molte idee che in fondo sono ancora valide.
Nei prossimi giorni proverò a pubblicare qui sul blog qualche stralcio che mi sembra più interessante.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

io per calvino ho sempre avuto un rapporto di amore-odio, sai una cosa del tipo "il suo non è il mio mondo ma non posso fare a meno di rispettarlo, perchè è onesto" (magari detto così è semplicistico ma è più o meno quel che sento) però lezioni americane o quel saggio sul cinema che apre la'utobiografia di fellini sono davvero dei gran pezzi di scrittura... prova ne sia il fatto che ancora decine di critici si schierano pro o contro quel libro, come se fosse quasi una pietra di paragone impossibile da ignorare...

ps, complimenti per esserti laureato a ventiquattro anni! io ci ho messo una vita!

sergio pasquandrea ha detto...

Per me invece è stato un colpo di fulmine: ho amato Calvino fin dalla prima pagina e ho avuto per anni una passione sviscerata per lui e per qualunque cosa abbia scritto.
Oggi non riesco quasi più a leggerlo, perché mi pare di conoscerlo talmente bene che so già che cosa scriverà e come (e, ovviamente, anche perché nel frattempo sono cresciuto e vedo le cose in maniera diversa).
Le Lezioni Americane sono un gran libro, ma forse più citato che capito. Anzi, direi che è uno dei libri più equivocati di Calvino (scrittore, a mio parere, molto diverso dal ritratto che in genere se ne dà: tanto per dire, io lo vedo come uno scrittore profondamente tragico).

Antonio Convertini ha detto...

Il mio rapporto con Calvino è tutt'ora tormentato. Me ne innamorai molto quando a scuola lessi il racconto Ultimo viene il corvo - anche se poi l'intera raccolta non l'ho mai terminata - e ho poi letto Il cavaliere inesistente un paio di volte, se non tre, e da ultimo quasi un anno fa le Lezioni Americane, che mi è stato regalato dalla madre di un mio amore ormai spento ma mai espresso che oggi si sta facendo più volte risentire. Per caso mi sono imbattuto in questo post e siccome mi piace anche molto, credo che da ora seguirò il tuo blog e leggerò gli estratti della tua tesi. :)
Di Calvino mi ha sempre terribilmente affascinato il suo stile, in maniera quasi ipnotica. Il cavaliere inesistente è stato un libro molto importante per me, perché mi ha chiesto di leggere meglio, di diventare un lettore più critico, più attento e meno contemplativo. Ho poi desiderato molto leggere le Lezioni Americane per rimanerne in certo grado deluso. Solo ora forse inizio a comprendere i motivi di quelle delusioni e forse è un testo con cui devo ritornare a confrontarmi.