lunedì 16 febbraio 2009

conversazione telefonica


Il prezzo sembrava ragionevole, l'ubicazione
indifferente. La padrona di casa giurava di vivere
altrove. Non restava altro
se non la confessione. “Signora”, avvisai,
“non voglio fare viaggi a vuoto: sono africano”.
Silenzio. Silenziata trasmissione di
buone maniere sottovuoto. La voce, quando arrivò,
rivestita di rossetto, pigolio di lungo
bocchino dorato. Ero fregato, dannazione.
“QUANTO SCURO?”... Avevo sentito bene... “LEI È CHIARO
O MOLTO SCURO?” Pulsante A. Pulsante B. Tanfo
di fiato rancido di pubblico nascondiglio telefonico.
Cabina rossa. Cassetta postale rossa. Autobus rosso
a due piani che schiaccia l'asfalto. Era vero! Vergognosa
per il silenzio scortese, la resa
spinse lo stupore a mendicare una semplificazione.
Fu accorta, spostò l'enfasi:
“LEI È SCURO? O MOLTO CHIARO?” Arrivò la rivelazione.
“Intende dire: come il cioccolato semplice o al latte?”
Il suo assenso fu clinico, schiacciante nella sua leggera
impersonalità. Rapidamente, sintonizzandomi sulla lunghezza d'onda,
scelsi. “Color seppia dell'Africa Occidentale”: e subito dopo
“Così c'è sul passaporto”. Silenzio per spettroscopico
volo di fantasia, finché la sincerità fece stridere il suo duro
accento sulla cornetta. “CHE COS'È?”, con riluttanza
“NON SO CHE COSA SIA”. “Come il castano”.
“È SCURO, NO?” “Non del tutto.
Di faccia, sono castano, ma, signora, dovrebbe vedere
il resto di me. I palmi delle mani, le piante dei piedi
sono biondo ossigenato. Per via dell'attrito –
assurdo, signora – a forza di star seduto, il didietro
è diventato nero corvino – Un attimo, signora!” avvertendo
il ricevitore alzare un fragore di tuono
nelle orecchie: “Signora”, supplicai, “non vorrebbe almeno
controllare di persona?”
(Wole Soyinka)

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