venerdì 29 maggio 2009

racconti dell'età del jazz 5 - Altrove


Il concerto più bello della mia vita l’ho visto per caso.
A quei tempi c’era un localino a Perugia dove facevano spesso jam-session (ora credo sia diventato una pizzeria o un disco-pub); io che, beata giovinezza, pensavo ancora di poter essere un decente pianista jazz, ci andavo una sera sì e una no.
(continua su "La poesia e lo spirito")

9 commenti:

Navarre Raee ha detto...

Ho letto l'articolo, interessante, e ho notato anche il commento di Lillo che descrive una sua esperienza simile ad una mostra di Picasso.

Non capisco però la serie di abbandoni, chi alla musica e chi alla pittura.

Insomma, seguendo questa logica, ogni allievo dovrebbe soccombere di fronte alla bravura di un maestro, privandosi di ogni possibilità d'imparare e migliorare con il tempo.

lillo ha detto...

mah non è tanto il soccombere di fronte alla bravura di un maestro (di maestri ce ne sono tanti) quanto il rendersi conto di non avere da dire nulla di più nè meglio di quello che è già stato detto da quella persona... è una cosa che non può insegnarti nessuno, una sensazione che ti fai affinando l'orecchio o l'occhio... vedi o senti e sai che tutto quello che potresti dire o fare è un di più, non essenziale, e l'arte (quella vera) è sempre un continuo divenire...

poi non so sergio, io mica ho smesso di esprimermi, faccio solo altro... scrivo che mi piace tanto, e comunque continuo a frequentare tutte le mostre che mi capitano (alcune le organizzo pure, è un altro dei miei tanti lavori) perchè sono sempre e comunque innamorato...

sergio pasquandrea ha detto...

Quel che dico io è che arriva un momento in cui ci si deve rendere conto di che cosa si sa e si può far bene e che cosa no.
Io non ho smesso di suonare, ho solo smesso di illudermi di poterlo fare da professionista, perché ho capito che per farlo ci volevano doti che io, chiaramente, non avevo.
Continuo a farlo per mio diletto personale, e mi concentro sulle cose che so di poter fare davvero bene.
Del resto, anche Diaghilev voleva diventare un compositore, poi quando si accorse di non avere talento cambiò strada e si inventò i Balletti Russi. Se non l'avesse capito, avremmo avuto un cattivo compositore in più e un Nijinski in meno.

Navarre Raee ha detto...

Il discorso non è così semplice. Certamente l'autovalutazione è un tempo necessario, ma non credo però che gli si possa attribuire una totale capacità di giudizio.
Sergio cita il caso di Diaghilev, ma la storia è piena anche di uomini che credettero di aver compiuto qualcosa di importante in un campo, mentre la tradizione culturale li ricorda per tutt'altro.

In estrema sintesi: voglio ascoltare un brano suonato da Sergio ed osservare un quadro dipinto da Lillo! In barba ai professionisti!

sergio pasquandrea ha detto...

Masochista...

ghzk ha detto...

questo pezzo non l'hai scritto. l'hai suonato a pianoforte.

lillo ha detto...

quando vuoi... :-)

Anonimo ha detto...

non essere così sicuro di non avere delle doti di cui parli. a volte è solo questione di autostima e soprattutto di un bravo insegnante. te lo dico per propria esperienza, ho l'età del tuo bisnonno :-)..ho sprecato tanti anni (proprio per la mancanza di autostima) ma ora nessuno mi ferma,è la creatività che governa su ogni cosa che mi concerne. buona fortuna !

sergio pasquandrea ha detto...

Non credo sia mancanza di autostima.
So che ci sono altre cose che posso fare bene, ma ho abbastanza senso critico per poter giudicare come mediocri le mie prestazioni come pianista.
Sostanzialmente si tratta di limiti tecnici, che non sono mai riuscito a superare nonstante anni di studio, e soprattutto di mancanza di vera motivazione. Mi piace suonare, mi diverte, ma mi manca quella spinta, quell'urgenza interiore che ti fa dire: "o lo faccio, o muoio".