giovedì 25 giugno 2009

dissipazione

"Gli anni ’80 e ’90 sono stati gli anni del vuoto, di una devastazione spirituale, ingenua e progressiva, per chi è nato e vissuto nelle periferie romane edificate dalle amministrazioni di sinistra. Palazzi con le scale che arrivano fino alla N, appartamenti di cinquantacinque metri quadri con le pareti in cartongesso, pizzerie al taglio in cui le teglie impastate di olio di colza si incurvano sui bordi, palestre in cui sui piccoli televisori sospesi a tre metri da terra venivano proiettati serialmente video di Lou Ferrigno e Arnold Schwarzenegger. Forse se c’è un personaggio emblematico della Roma di questi anni è Victor Cavallo. Attore, poeta, alcolizzato. L’incarnazione del talento che evapora, il successo sporadicissimo, l’energia dissipata senza possibilità di nobilitazione neanche da morto, neanche nelle rivisitazioni dei fan, lo spreco".
Così scriveva, tempo fa, Chistian Raimo su Nazione Indiana.

Victor Cavallo (Roma, 8 maggio 1947 - 21 gennaio 2000), nome d'arte di Vittorio Vitolo, fu uno dei pochi personaggi autenticamente bukowskiani che abbiamo avuto qui in Italia (e ce ne vuole per essere bukowskiani autenticamente, senza pose e senza gnegnè).
Cominciò a fine anni Sessanta nel teatro underground, ma la maggior parte del pubblico lo ricorda soprattutto come caratterista, a volte in film d'autore (Tragedia di un uomo ridicolo, Pasolini un delitto italiano, Il grande cocomero, Verso sera), altre volte in fiction televisive (La piovra, Ultimo), altre ancora, purtroppo, in infami filmacci trash che mi rifiuto anche di nominare.
Ma Cavallo fu anche un poeta. I suoi testi sono lunghi flussi di coscienza, rimuginati durante le interminabili camminate nei quartieri romani, Magliana Garbatella Laurentino piazza Vittorio.
Qui frammenti di un film su di lui.
Di seguito qualche poesia.

* * *

Isole Tremiti. Una febbretta dentro il nuovo sole - una malcerta ferrovia
di campagna. un tram storto dietro i portici. un cuore che guarda sempre
vecchi film.
I fantasmi sono i primi a gioire della ventura primavera
dell'erba che spacca i sanpietrini respirare mostri col cuore ingordo di dolcezza.

Ah questo cuore che sale le scale degli ospedali che gira a Porta Portese
che vomita chiama tace come un cane bastonato come una gabbietta vuota
e grida come un gommone rovesciato.
Mi sento povero di occhi.

traversa il viaggio paesi stranieri, la magliana, laurentino
si ferma alle stazioni ferme nel cielo bianco, come sconosciute piazze.
Mi è estraneo questo camminamento l'aria vuota come un'Hiroshima
è meno faticoso così comprendere (se) il senso del futuro
(come dice il ragazzo)
(l'incidente è aperto)
La morte nera genera mostruosi animaletti che mordono il cuore e fuggono
immobili
la morte nera abita gli uffici postali l'anagrafe la questura
il mondo come rappresentazione senza volontà


(E' da ieri che volevo dirti che mi è finito il tu però mi sbaglio



perché le ombre mi sussurrano vicino e chiamano la voce nella tempesta
nel deserto nei portici i cani muti che mordono bernini e michelangelo)
(bravi!)
E' di tristizia questo vialone breccolato di nuvole e farmacie
è di tristizia questo canto tutti insieme
c'è tristizia

(Dopo è incerto tra pizzette calde pizze in faccio e sonno)

* * *

lacrime, e che sono, in questo via vai d'infarti e di sorrisi
di polmoni abbarbicati alle flebo come edere sigarette fumate fuori del terrazzo tra le bombole di merda
e facce che d'improvviso cadono sotto le mascherine igieniche e giardini dove si va a piangere senza che nessuno sappia - lacrime.
lacrime come tramezzini bus tardatari appoggiati al palo
facce all'ingresso dell'Hospital via Portuense affumicata è un angolo di moschini davanti all'inferno

oh ( che lungo cammino giungere fino al seno)

l'alba avanza veloce nel cielo tra i palazzoni
sembrava un uccellino senza ali ed era un'aquila disperata
(noi fermi a uno scalino leggevamo di Vieri e di Di Biagio
finché fu freddo il marmo sotto il culo
e dal blù scuro il cielo divenne chiaro.
e i colombi si scambiavano le prime carezze chissà da quale desio chiamati.
E venne un uomo o una donna
e mi disse che l'infinito era dopo i portici, invisibile e muto come
un tabaccaio chiuso.
erbe gelsomini magnolie rose corriere dello sport tutte le sise
l'ombelico gli occhi l'infinito tutto

e io mi storcevo come un tram rotto

* * *

Piove sotto i portici di Holderlin e Del Sol
di certo è marzo e come un deficiente io cammino e mi chiamo da solo: Vittorio
(vorrei sdraiarmi su un banco umido di pesce)

Preparavano il mercato. Pulivano: E un lavorante ha emesso una meravigliosa
scureggia e mi ha guardato.
(Bello de papà)
ansima il cuore a sbrandelli di alcool e seghe De Pisis
(morire e perché mai? lo vorrà Allah) (quando lo vorrà)

Ah brocca brocca vaso de coccio tra i ferri arrugginiti
brocca di mandorlo e merda brocca di bacio di ricordo di ciliegio
tutto fu quella curva sbagliata sul brecciato
(ma sbagliare a 16 anni è dono degli dei)

e poi almeno questo del cuore: essere stronzi.

* * *

3 AP

sentono i venti le mongolfiere, e dalla mongolia vanno verso via tiburtina.
così mi sembra questa mia mattina scervellata. il sole batte sulla capoccia
bianca d'un vecchio in attesa di bus.
Verrà la primavera e sarà un soffio che a guardarsi indietro le foglie già saranno autunno
Bikini stracciati dai ghiaccioli bruciati, cipressi senza rinnovo di passaporto
(gli uomini vanno e vengono senza dire un cazzo)
senza cotolette d'abbacchio senza orecchini verdi senza aurora senza cosce senza senza.
Lentamente a Piedi traverseremo il mare mio figlio e io e andremo al Maracanà
a cacare sulla faccia vaiolata della solitudine,
sarà un attimo dai colori giallo oro verde blu rosso. la vita è lunga

* * *

AP

A ciascuno il non suo. il giorno illuminato dal sole il liquore pagato le sveglie mute
(ascolto i passeretti e chissà quanto può essere infinita l'innocenza la grazia d'essere uno stronzo blu) (celeste)
Vorrei sognare a volte col rumore assordante d'una motoretta a scappamento rotto
per svegliarmi altrove.
Chi ansima o la trova subito o non la trova più.
Stanotte sognai il mio primo amore che fuggiva verso Firenze su un treno che maledetto ho mancato.

Amore se io fossi un nibbio e tu fossi un girasole
ci incontreremo tra i semi e le molliche
io sperso e tu incantata

* * *

MAGGIO 1999


si sposta lentamente il cielo come nel letto una ragazza stanca
(come una padreterna profumata di rosa)

6 commenti:

lillo ha detto...

vedo che il nome raimo continua a tornare nei tuoi discorsi? ;-) cosa dovremmo pensare di questo insisistito interesse? :-D

sai che non avrei mai immaginato che potesse piacerti un poeta come cavallo? ma in fondo nelle sue cose migliori è davvero un grande poeta (fra l'altro, che io sappia, uno dei pochi mai antolocizzati - spero si dica così - lui e un altro è bodini, quaggiù da noi la si ritiene quasi un'offesa alla patria puglia!) ;-)

ti racconto un aneddoto... un pò di tempo fa a bari mi hanno invitato a un reading organizzato da una sorta di fan club di cavallo, sì insomma un gruppo di ammiratori... lo hanno fatto perchè qualcuno aveva letto delle mie cose in cui a suo dire aveva ravvisato uno spirito affine a quello del romano... il fatto è che se anche questà affinità c'era riguardava dei testi molto vecchi... poi quando mi sono presentato lì con le mie ultime cose, quelle che normalmente oggi leggi sul mio blog, hanno cominciato a guardarmi strano e mi ci è voluto un pò per convincerli della bontà delle mie cose... insomma è andata a finire che comunque si sono divertiti, le mie poesie per fortuna sono piaciute (di qualunque periodo esse fossero) però già che c'ero alla fine mi hanno chiesto di leggere una poesia di cavallo, così, "tanto per rimanere in tema"... ;-)

tutto questo per dire che anche cavallo alla fine, per quanto destabilizzante si sta lentamente e forse contro la sua volontà trasformando in un sistema (con tutte le sue regole e i suoi confini invalicabili)... chissà se la cosa lo avrebbe divertito o gli avrebbe fatto venire il prurito? "ma vai a cagare!" avrebbe forse risposto...

sergio pasquandrea ha detto...

Ho scoperto il nome di Cavallo per caso, proprio grazie a quel post di Christian Raimo (a proposito: Antò, io sono sposato e padre di famiglia... ;-) ).
Sicuramente non è il tipo di poeta che mi piace di più in assoluto, ma non si può negare che sia dotato di una grande originalità e forza espressiva. E poi, come dico nel post, è uno che quelle cose non le recitava, le viveva. Non sopporto i flussi di coscienza e le coprolalie quando sono fatti da gente che se ne sta al calduccio nel suo studiolo, ma lui certe cose le ha vissute davvero, e quella secondo me è la differenza.
Poi, anche l'autore più rivoluzionario, nelle mani dei fans, si sclerotizza. Non c'è niente di più conservatore di un fan club. Per questo ammiro uno come Dylan, che si è sempre fatto beffe di tutte le forme di divismo.

sergio pasquandrea ha detto...

Di Bodini credo di aver letto qualcosa da "La luna dei Borboni", ma onestamente non ricordo molto.
E' vero, è un autore piuttosto dimenticato.

lillo ha detto...

ma più o meno un'ora fa non c'era una poesia qui sopra? o son le mie traveggole?

sergio pasquandrea ha detto...

Era un errore.
Volevo metterla in programma per uno dei prossimi post e invece l'avevo pubblicata.
La leggerai a suo tempo ;-)

lo straniero ha detto...

quei palazzoni di periferia uguali dappertutto come pure i disagi (ci ho anche vissuto per un certo periodo quando sono scappato di casa). questo per dire che le posie di Cavallo m'interessano, m'intrigano, mi piacciono.