lunedì 7 settembre 2009

i racconti dell'età del jazz 7 - quando Billie Holiday era felice


Oddio, proprio felice forse non lo è stata mai, e non sto nemmeno a spiegare il perché. Però mi sono un po' scocciato di sentir parlare della vita di Billie, dei tormenti di Billie, degli amori infelici di Billie, della voce di Billie ridotta a cartavetrata. Insomma, mi sono scocciato di vederla ridotta a una Madonnina dei Sette Dolori.

(...continua su La poesia e lo spirito)

10 commenti:

Navarre Raee ha detto...

Oltre a ringraziarti per la dettagliata biografia di koSSiga (non sapevo fosse il cugino di Berlinguer), volevo "dirti" che ho letto l'articolo su Billie Holiday e sono d'accordo con te sul fatto che un'artista sia artista "nonostante" una vita particolarmente difficile o tormentata. Quello che però non riesco a capire è se il tuo insistere spesso su questo argomento sia mirato a smantellare i luoghi comuni che ruotano attorno al mondo dell'arte, oppure in fondo in fondo sia un modo per legittimare il tuo stile, e dunque te stesso. Forse entrambi?

sergio pasquandrea ha detto...

non sono ben sicuro di aver capito che cosa intendi per "legittimare il mio stile", comunque sì, i luoghi comuni tipo "artista maledetto", "arte e sofferenza", ecc. ecc., mi hanno sempre dato molto fastidio.
anche perché conducono a un'altra tendenza che mi dà ancor più fastidio: l'insistenza voyeuristica sulla biografia dell'artista, che finisce per prevaricare la musica (o la letteratura, o quel che sia).

Navarre Raee ha detto...

Perfettamente d'accordo, io penso le stesse cose.
Quanto influisce però la tua esperienza, la tua vita "non maledetta", nel dire che provi fastidio nei confronti dello stereotipo dell' "artista maledetto"?

ps. Faccio questa domanda alla Marzullo, perfettamente consapevole della sua Marzullinità.

lillo ha detto...

che brutta domanda navarre... sarebbe pertinente per certi (e li conosco pure) che fingono il maledettismo, cioè scrivono e fanno musica o ecc... parlando di esperienze che non hanno fatto ma con la pretesa di farci credere che quello è il loro mondo e non semplicemente una finzione (che per un artista sarebbe anche lecita)... ma francamente tutto questo non mi pare si possa dire di sergio...

sergio pasquandrea ha detto...

Mah, onestamente, Navarre, non lo so proprio. Non penso che sia necessario ubriacarsi per leggere Bukowski (anche se magari aiuta...).
Quello che dico è che, della biografia di un artista, mi interessa quel tanto che basta a comprendere la sua arte. Il resto è morbosità..

Rodolfo Marotta ha detto...

Sono d'accordo sulla necessità di superare certi stereotipi ecc ecc ma sul fatto che si possa sezionare la vita di un artista ( o anche di un metalmeccanico...) tra una parte coerente con la sua attività e una parte estranea e per questo morbosa mi riesce difficile digerirlo...
Forse è la lettura che ne diamo noi quella che altera in senso morboso certi aspetti di un vissuto.

sergio pasquandrea ha detto...

Ti faccio un esempio: nel caso di Van Gogh, sapere che aveva squilibri psichici mi aiuta a capire aspetti della sua arte; ma sapere (come leggo in certe biografie) quante volte di preciso Billie Holiday fu arrestata per prostituzione e da chi e in quale prigione la portarono, o chi le procurava la droga o certi dettagli francamente squallidi che neanche voglio nominare... beh, questa è morbosità pura e semplice.

Navarre Raee ha detto...

Se la domanda è risultata offensiva, scusatemi. Non era nelle mie intenzioni. Quello che aveva chiesto a Sergio, presupponeva proprio l'assenza di qualsiasi forma di "maledettismo". Probabilmente mi sono espresso male. Io m'interrogavo solamente sul grado in cui la nostra esperienza tende a guidare i nostri giudizi.

ghzk ha detto...

comunque è vero: la stragrande maggioranza degli artisti ha una vita tormentata.. o come minimo sono dei "disadattati"..
/non è facile camminare con la testa in giù, ma s'impara. il gusto di novità.../

sergio pasquandrea ha detto...

Nessuna offesa, Navarre.