martedì 15 settembre 2009

simone cattaneo

Qualche giorno fa parlavo della poesia in Italia, delle tante voci poetiche, anche di gran forza, che si perdono nel rumore di fondo della rete e dell'editoria.
Oggi apprendo, da Nazione Indiana, della morte (suicidio) di un poeta di nome Simone Cattaneo. Non lo conoscevo. Era, tra l'altro, del 1974, quindi un mio coetaneo. Su NI si possono leggere alcune sue poesie: mi pare una voce scabra, persino violenta, comunque originale.
Ne ho cercata in giro qualche altra, che pubblico.



La madre di un mio compagno delle scuole medie
mi ha bloccato in una strada del vecchio quartiere
dicendomi che suo figlio era morto.
Non si è sbilanciata più di tanto e mi ha invitato al funerale.
Mi è parso buona educazione accettare.
Una settimana dopo mi ha fermato sotto casa e con aria decisa
mi ha confidato che calzo lo stesso numero di piede del suo povero figlio,
così mi ha regalato due paia di scarpe e un giubbotto giallo.
Qualche sera fa sono finito in un bar di Milano e
ho abbordato una ragazza sudamericana molto sensibile
al mio nuovo giubbotto canarino. Ho stretto gli occhi
e le ho sussurrato che per i particolari non bado mai a spese.

(da: "Made in Italy", Atelier, Borgomanero, 2008)

* * *

Stanotte di fronte al televisore spento
mi sono messo a ballare con una canna da pesca
un lento tragico e romantico, ho spostato i mobili
del soggiorno e al centro del pavimento ho ammucchiato
quotidiani vecchi, cartoni di latte e qualche
fazzoletto sporco. Poi ho dato fuoco a tutto
e mi sembrava di partecipare a uno di quei veri balli
studenteschi pieni di gioia e di speranza nella vodka
con un chiasso infernale che mi riempiva le orecchie
con il rumore del mare.
Spento il fuoco, qualche ombra fiera e dura
incisa sulle mura, la canna da pesca incrinata
sono rimasto a suonare su una tastiera sgraziata
chissà poi cosa
aspettando di riprendere fiato
e ho pensato di uscire all’aria aperta ma chiudendo
gli occhi il rosso del fuoco divideva ancora
il mio pavimento e non colava a picco,
rimaneva fisso lì a marchiare il territorio
in attesa di tutta la mia miseria.

(da: "Nome e soprannome", Edizioni Atelier, 2001)

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