martedì 13 ottobre 2009

in difesa di un cliente indisciplinato

C'è ragione di notare l'indocile licenza di quel membro, che si ingerisce tanto inopportunamente quando non sappiamo che farne, e tanto inopportunamente viene meno quando ne abbiamo più bisogno, e che combatte così imperiosamente di autorità con la nostra volontà, respingendo con tanta fierezza e ostinazione le nostre sollecitazioni e mentali e manuali. Tuttavia, poiché si rimprovera aspramente la sua ribellione e si fa di essa una prova per ottenere la sua condanna, se esso mi avesse pagato per difendere la sua causa, forse farei ricadere sulle altre nostre membra, sue compagne, il sospetto di essere andate a metter su contro di lui questa vertenza fittizia per invidia bella e buona dell'importanza e dolcezza del suo uso, e di aver, per complotto, armato tutti contro di lui, malignamente addossando a lui solo la loro colpa comune. Vorrei infatti che vi domandaste se ci sia una sola parte del nostro corpo che non rifiuti spesso la sua opera alla nostra volontà , e che spesso non la compia contro la nostra volontà. Ciascuna di esse ha passioni proprie che la risvegliano e l'addormentano senza il nostro permesso. Quante volte espressioni incontrollabili del nostro viso rivelano i pensieri che tenevamo segreti e ci tradiscono davanti agli altri. Quella stessa causa che muove quel membro, a nostra insaputa muove anche il cuore, i polmoni e il polso; e infatti la vista d'un oggetto gradevole diffonde imprecettibilmente in noi la fiamma di un'emozione febbrile. Vi sono forse soltanto quei muscoli e quelle vene che si rizzano e abbassano senza il consenso, non solo della nostra volontà, ma anche del nostro pensiero? Noi non comandiamo certo ai nostri capeli di rizzarsi e alla nostra pelle di fremere di desiderio o di timore. La mano va spesso dove noi non la mandiamo. La lingua si paralizza e la voce s'arresta a piacer suo. Proprio quando, non avendo nulla da mangiare, glielo proibiremmo volentieri, la voglia di mangiare e di bere non ristà dall'agitare le parti che le sono soggette, né più né meno di quell'altra voglia; e allo stesso modo ci abbandona, fuori di proposito, quando le piace. Gli organi che servono a scaricare il ventre hanno le loro propire dilatazioni e contrazioni, oltre e contro il nostro volere, come quegli altri destinati a scaricare i nostri reni. E quel fatto che sant'Agostino cita per comprovare l'onnipotenza della nostra volotnà, cioè di aver visto qualcuno che comandava al suo deretano quanti peti voleva, e che Vives, suo glossatore, rafforza con un altro esempio del tempo suo, di peti armonizzati secondo il tono dei versi che si recitavano, non garantisce affatto una obbedienza più assoluta di quella parte del corpo, perché in generale esso è uno dei più indiscreti e tumultuosi. Si aggiunga che ne conosco uno tanto turbolento e ribelle, che sono quarant'anni che tiene il suo padrone a scoreggiare con una lena e con un impegno costante e ininterrotto, e così lo porta alla morte.
Ma la nostra volontà, per i cui diritti avanziamo questo rimprovero, con quanta più verosimiglianza la possiamo tacciare di ribellione e sedizione per la sua sregolatezza e disobbedienza! Vuole essa sempre ciò che noi vorremmo che volesse? Non vuole spesso quello che le proibiamo di volere; e con nostro danno manifesto? Si lascia forse condurre alle conclusioni della nostra ragione? Infine, a difesa del mio signor cliente, dirò: ci si compiaccia di considerare come in questa faccenda, pur essendo la sua causa inseparabilmente e solidalmente congiunta a un complice, ci si rivolga tuttavia a lui solo, e con argomenti e accuse tali che, vista la condizione delle parti, non possono in alcun modo riferirsi né concernere il detto complice. Pertanto si vede l'animosità e l'illegalità manifesta degli accusatori. Comunque sia gli avvocati e i giudici hanno un bel litigare e sentenziare, la natura continuerà tuttavia il suo corso; e avrebbe fatto cosa assennata se avesse dotato questo membro, autore della sola opera immortale dei mortali, di qualche particolare privilegio. Per ciò la generazione è per Socrate azione divina; e amore, desiderio d'immortalità e demone immortale lui stesso.
(Montaigne, Saggi, I, 21)

(nell'immagine: una scena dal Decameron di Pasolini)

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