lunedì 19 ottobre 2009

recensioni in pillole 38 - "Vineland"

Thomas Pynchon, Vineland, Rizzoli 2000 (446 pp., € 8,26)

Qualche tempo fa mi era venuta la curiosità di leggere Pynchon. Avevo raccolto un po' di informazioni in giro e mi era sembrato di capire che “Vineland” (1990) fosse tra le sue cose più accessibili. L'avevo comprato e – manco a dirlo – era rimasto a prendere polvere su uno scaffale. (E se siete curiosi di sapere perché poi l'ho letto, e perché proprio ora, sappiate che non ne ho la minima idea).
Il libro si apre nel 1984 (e non è certo un caso) , nell'immaginaria contea di Vineland, California settentrionale. Il primo a entrare in scena è Zoyd Wheeler, un ex-hippie divorziato e con figlia a carico: una specie di Grande Lebowski, svaccato e imbolsito reduce degli anni Sessanta. Un giorno, la sua placida e divagante esistenza da fricchettone-fuori-tempo-massimo viene bruscamente interrotta da una vera e propria invasione di agenti dell'FBI che lo costringono a una precipitosa fuga. Origine di tutto è la sua ex-moglie Frenesi, svanita nel nulla anni prima, che man mano si scoprirà essere al centro di un enorme inghippo che coinvolge agenti segreti stronzissimi e fascistissimi, poliziotti dell'antidroga impazziti per la troppa TV, sette segrete di donne ninja, discografici in trip da acido, Repubbliche del Rock'n'Roll, confraternite di svitati dediti al culto della morte, guaritori karmici giapponesi, cellule di contestatori dell'estrema sinistra, equivoche ditte di rimozione autoveicoli, bikers mistici vestiti da suore, campi per la rieducazione dei sovversivi e via dicendo.
Pynchon si diverte ad accumulare, in modo grottescamente esponenziale, tutti gli elementi del thriller di serie B. La trama è un labirinto di andirivieni temporali, digressioni, flashback, inzeppata di citazioni tratte dalla cultura pop, con una miriade di personaggi – uno più paradossale dell'altro – che appaiono e scompaiono nel nulla, senza ragione apparente.
Ma soprattutto, il romanzo è un ritratto psichedelico dell'America anni Ottanta: una società in frantumi, ipnotizzata dalla televisione, rincoglionita dal consumismo e dalla comunicazione di massa. Gli anni Sessanta, ci dice Pynchon con tragico divertimento, hanno fallito su tutta la linea: prima si sono impaludati nel grigiore nixoniano e poi si sono lasciati fagocitare dagli sbrilluccichii reaganiani. I rivoluzionari hanno messo su pancia, hanno perso i capelli e si sono trasformati in macchiette. O, peggio, si sono venduti, e sono diventati più borghesi dei borghesi.

* * *

(da Vineland, pp. 363-364)

“Questi agenti federali,” stava adesso dicendo Mucho Maas a Zoyd “se poco poco assomigliano ai rinologi, o terapeuti del naso, non te li scaccoli più di dosso finché campi. Credevo che tu non spacciassi più.”
“Lo credevo anch'io. Se non che, la settimana scorsa, che succede? Finalmente lui cerca di incastrarmi.” E Zoyd raccontò a Mucho la sua breve ma educativa detenzione in un carcere federale.

Mucho batté le ciglia, compassionevolmente, mesto. “Be', è acqua passata ormai, mi sa. Siamo entrati in una nuova era adesso. Questa è l'età di Nixon, poi verrà l'età di Reagan...”

“Il vecchio Raygun? Ma va' là! Non lo faranno mai presidente.”

“Vacci cauto, qui, Zoyd, per favore. Ché, tra non molto, vedrai, proibiranno tutto, non soltanto gli stupefacenti, ma anche la birra, le sigarette, lo zucchero, il sale, i grassi, e via discorrendo, tutto quello insomma che possa far minimamente piacere a uno dei tuoi sensi, poiché hanno bisogno di tener tutto sotto controllo. Vedrai, vedrai.”

“Ci sarà il nucleo antipasticcini?”

“Sì, e la squadra antiprofumi. L'antitele. L'antimusica. Un reparto di polizia specializzato per controllare che si cachi merda buona, regolare. Ti conviene rinunciare a tutto adesso, così parti avvantaggiato.”

“Io per me vorrei tanto che fossero, invece, ancora i tempi di una volta. Quando tu eri il Conte Drugula. Ti ricordi, che streppate? E che acido! Ti ricordi quella volta a Laguna? Dio mio, lo sapevo. Lo sapevo...”

Si scambiarono un'occhiata. “Anch'io. Ero convinto che non sarei morto mai. Ah! Sfido che il Potere abbia preso paura. Come farebbe infatti a controllare una popolazione che sa che non morirà mai? Perché è sempre stata questa, la loro briscola: pensare di avere il potere di vita o di morte. Ma l'LSD ci donava una visione ai raggi X della realtà. Per forza, quindi, dovevano togliercelo.”
“Sì, ma non ci possono mica togliere quello che è stato, quello che abbiamo scoperto.”
“Un momento. Ce lo fanno però dimenticare. Ci danno troppe cose da elaborare, sì da riempire ogni minuto, per distrarci, alienarci, estraniarci, è a questo che serve la Tele, e, anche se mi duole dirlo, è a questo che sta finendo per servire il rock and roll... semplicemente un modo come un altro per incatenare la nostra attenzione, sicché quella bella certezza che avevamo conquistato comincia ormai a sbiadire e, tra non molto, riusciranno di nuovo a convincerci che tutti dobbiamo morire davvero. E ci inculeranno di nuovo.” Era così che la gente era solita parlare.

“Io non dimenticherò mai,” giurò Zoyd “vadano a farsi fottere. Finché è durata, ci siamo divertiti un mondo.”

“E non ce l'hanno mai perdonata.” Mucho andò al giradischi e mise su
The Best of Sam Cooke. Quindi stettero entrambi ad ascoltare il sermone, un sermone che conoscevano e da cui si sentivano confortati, sebbene fuori si estendesse la terra desolata, senza lampioni, si aggirasse invisibile il redde rationem, e l'America verde della loro gioventù si stesse trasformando in uno stato di crumiri e di polizia.

2 commenti:

lillo ha detto...

sembra un libro interessante ed è anche ben scritto, o perlomeno nella linea di quelli che preferisco...

ps. volevo commentare anche il post sulla canzone popolare, che mi sembra fighissimo, ma non riesco a concentrarmi, c'è troppo rumore intorno... appena posso però mi piacerebbe riprendere il discorso perchè mi sembra bello e forte...

pps. continuo a ripensare all'ultima scena del caimano, sarà che sono facilmente impressionabile in questo momento, e fuori piove, ma son tempi davvero davvero bui...

sergio pasquandrea ha detto...

Sì, è un libro divertentissimo e insieme amaro. Io non amo molto il "post-moderno", ma Pynchon è uno dei creatori del genere, e in lui c'è una sostanza e un'autenticità che manca a molti dei suoi epigoni.

Sulla canzone popolare, quando vuoi.

Tempi bui, bui davvero. E la luce nemmeno si intravede.