domenica 15 novembre 2009

recensioni in pillole 44 - "La religione del mio tempo"

Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo, Garzanti 1976 (prima ed. 1961)

Le poesie che compongono "La religione del mio tempo" furono scritte tra il 1955 e il 1960. Sono anni cruciali per Pasolini: la pubblicazione di "Una vita violenta" (1958), le prime esperienze cinematografiche, l'impegno per la rivista "Officina" (insieme a Roversi, Leonetti, Fortini), il processo per oscenità contro "Ragazzi di vita", la scrittura dei saggi poi confluiti in "Passione e ideologia" (1960).
Ma soprattutto sono gli anni in cui prende forma quella "mutazione antropologica" che diventerà il leitmotiv della sua produzione successiva.
Il libro riflette tutto ciò: un libro denso, quindi, anche contraddittorio, ma singolarmente ricco di fermenti.
Il lungo poema “La ricchezza” (1955-59), insieme a quello eponimo, del 1957-59, suonano come un'approfondimento e insieme una rilettura (auto)critica de “Le ceneri di Gramsci”, un bilancio dei suoi anni romani e un'amara constatazione del fallimento di tutte le speranze che avevano animato la sua generazione nel dopoguerra (“il doloroso stupore / di sapere che tutta quella luce, / per cui vivemmo, fu soltanto un sogno / ingiustificato, inoggettivo, fonte / ora di solitarie, vergognose lacrime.”).
In “A un ragazzo” (1956-57), uno dei vertici lirici del libro, tornano le immagini struggenti del passato friulano e il ricordo del fratello Guido, partito per unirsi ai partigiani e morto il 7 febbraio 1945, nel famigerato eccidio di Porzus.
Gli affilati, irosi versi di “Umiliato e offeso” (1958) e di “Nuovi epigrammi” (1958-59) profilano già il Pasolini degli anni Sessanta, il polemista infuocato e apocalittico, che si rivela appieno nelle cinque “Poesie incivili” (luglio 1960) che chiudono il volume.
L'ultimo verso dell'ultima poesia termina con la parola “rabbia”, ma il senso che aleggia su tutto è quello della tragedia, della sconfitta, del vuoto. Il capitalismo ha trionfato, l'Eden contadino della giovinezza friulana è ormai scomparso, la Resistenza è già dimenticata, il proletariato innocente e pagano vagheggiato negli anni Cinquanta non si è dimostrato diverso dalla borghesia a cui avrebbe dovuto opporsi.
Il fallimento delle ideologie si incrocia e sovrappone al fallimento interiore, privato, e più volte si affaccia un senso di disfatta, un cupio dissolvi che la passione – politica e umana – fa sempre più fatica a combattere.

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