giovedì 31 dicembre 2009

auguri d'annata

Capodanno 1968/1969.
Mina fa i suoi auguri in musica da "Canzonissima".
Coreografia spettacolare, splendido arrangiamento, regia di Antonello Falqui.
Auguri a tutti.


http://www.youtube.com/watch?v=xEhWTlufFe0

mercoledì 30 dicembre 2009

macheccazzostaiaddìaòh?


Passare attraverso è una definizione riferibile ai fumetti in un senso assai precipuo. I comics fanno esattamente questo a vari livelli degli strati di significazione che li caratterizzano. Essi operano da strumenti che tra-panano e tra-passano strati di significazioni, fra immagini e scritture, fra statico e dinamico, fra visivo e linguistico, verbale e non verbale, descrittivo e fantastico, ecc. Posti sempre sulla linea di precisi confini, il loro "trapanare" e "trapassare" va inteso, piuttosto che nel senso della violazione o del superamento di soglie, nel senso di aprire un varco, di rendere praticabile l'attraversamento, cioè nel connettere e unire, nel far vivere o far conoscere ciò che sta "fra...".
Passando attraverso, i fumetti non soltanto provocano emozioni ma forniscono, dell'emozione, una delle più formidabili maniere di viverla e di riconoscerla. Palesandosi come "terra di mezzo" (tra letteratura e disegno-pittura, fra cinema e tv, fotoromanzo e grafica pubblicitaria) il medium (sic!) del fumetto acquista una funzione segnica tutt'altro che marginale, anzi centrale all'interno della nostra società e all'interno dei sistemi mediali. Nel disporre vari livelli del "passare attraverso", la funzione di segno dei fumetti distingue certe straordinarie valenze in grado di tessere ponti, collegamenti, transiti fra media e media, fra tecnologie differenti di comunicazione, fra l'emozione e la ragione, l'intelletto e la sensibilità, la percezione e l'interpretazione.

Gino Frezza, "Passare attraverso. Figurare, impaginare, iconizzare",
in (a cura di) Daniele Barbieri, La linea inquieta. Emozioni e ironia nel fumetto,
Meltemi 2005, pp. 47-48



http://www.youtube.com/watch?v=qGririwxDCg

martedì 29 dicembre 2009

a volte ci penso...

... chissà come ci si sente ad essere coatti così, inconsapevolmente, senza alcuna vergogna.


http://www.youtube.com/watch?v=jRx5PrAlUdY

lunedì 28 dicembre 2009

italia mia, benché 'l parlar sia indarno...


Ma che belle personcine abbiamo in Italia. Nel mondo dello spettacolo, poi...
Secondo voi, chi è che si dice "felice ed entusiasta di essere mussoliniano"?
Clicca sulla frase per scoprirlo.

recensioni in pillole 52 - "Il blues"

Vincenzo Martorella, Il blues, Einaudi 2009 (322 pp., € 20)

Primo: tutto quel che sapete sul blues è falso.
Vabbè, non proprio tutto, ma molte cose. Ad esempio, che il blues fosse suonato solo con la chitarra (non è vero: c'erano il pianoforte, il violino, l'armonica, il banjo, il washboard, il kazoo, l'organetto e parecchia altra roba); che i bluesman fossero sempre solitari (no: suonavano anche in duo, trio eccetera), depressi (ci sono blues allegri, ironici e comici) e diabolici (molti suonavano indifferentemente blues e gospel). Che il blues sia musica da ascoltare (non è vero: il blues si ballava). E, soprattutto, che il blues sia un'unica cosa ben definita (quando invece c'erano – e ci sono – infiniti blues, spesso diametralmente opposti l'uno all'altro)
Secondo: perché un altro libro sul blues? Perché questo è diverso.
Non è una storia del blues (tant'è che parte dalle origini africane, ma si ferma agli anni '30), né una raccolta di testi, né un esame strettamente musicologico o sociologico eccetera. È piuttosto un tentativo di rileggere, da un punto di vista nuovo e metodologicamente aggiornato, la genesi del blues e, soprattutto, la genesi dell'immagine che noi abbiamo di questa musica.
Il libro, che fa parte di una nuova collana dell'Einaudi intitolata “Mappe”, è strutturato in tre parti (o tre “costellazioni” di temi, come le definisce Martorella).
Nella prima si esamina la nascista del blues, partendo dall'Africa ed esaminandone la lunga incubazione in America, fino all'emersione delle prime forme riconoscibili come tali.
Nella seconda viene esaminata la struttura del blues (testo e musica), i suoi addentellati con la cultura dei neri americani, i suoi legami con le altre musiche afroamericane, prima fra tutti il jazz. Assolutamente fondamentali i capitoli sull'influenza che ebbero sul blues prima l'industria discografica, poi i collezionisti di dischi, che preservarono opere altrimenti destinate a perdersi, ma operarono anche un'opera di selezione che condizionò profondamente la futura ricezione di questa musica.
L'ultima parte consiste di dodici brevi medaglioni, che disegnano il ritratto di varie figure celebri del blues (qui si trova quello dedicato a Bessie Smith).
Sul sito dell'Einaudi potete leggere una presentazione dell'opera, corredata di video.
Insomma, è un libro fondamentale, scritto magnificamente, in un linguaggio accessibile anche ai non esperti di musica
Terzo: Vincenzo è un mio amico. Ma questo non vuol dire.

domenica 27 dicembre 2009

recensioni in pillole 51 - "Diario di fiume"

Gipi, Diario di fiume e altre storie, Coconino Press, 2009 (125 pp., € 17)

E siamo a cinque.
Cinque Gipi in un anno configurano uno stato di seria dipendenza.
Comunque: questo “Diario di fiume” raccoglie dodici storie brevi o brevissime (la più lunga, quella che dà il titolo al volume, è di una ventina di tavole, ma ce ne sono anche di una o due) pubblicate qua e là negli ultimi dieci anni.
Tecniche e temi sono i più vari: due ragazzi che discendono un fiume in canoa; un pugile in un incontro truccato; due uomini, entrambi segnati da un dolore recente, che vanno a raccogliere funghi; una bacinella Moplen piena di Campari Soda; un vagabondo di nome Puzzola; migranti africani; una sex-doll iperrealistica; un appuntamento mancato. E l'ultima storia che, in qualche modo, si ricollega alla prima.
Storie tenere, ciniche, ironiche, tragiche, liriche, grottesche, come sempre in Gipi.
Insomma, che parlo a fare? Leggetelo, e basta.

sabato 26 dicembre 2009

weird nightmare

E vabbè, oggi mi sento cattivo.
Forse vuol essere un antidoto all'atmosfera caramellosa di questi giorni.
Comunque: avete presente David Lynch? Sì, il regista pazzoide di "Blue Velvet", "Twin Peaks", "Elephant Man", "Dune" eccetera eccetera.
Beh, questo è il tuo primo film, uno dei più pazzi in assoluto. Si intitola "Eraserhead" (1977) ed è in pratica tutto un'unica allucinazione lunga un'ora e mezza. Incubi assicurati.
Buona visione...


http://www.youtube.com/watch?v=nwEK7onUO6M

venerdì 25 dicembre 2009

hodie christus natus est


"Quando ascoltate Bach, vedete nascere Dio. La sua opera è generatrice di divinità. Dopo un oratorio, una cantata o una Passione è necessario che Egli esista. Altrimenti tutta l'opera del Kantor sarebbe una straziante illusione. E pensare che tanti teologi hanno perso giornate e notti a cercare le prove dell'esistenza di Dio, dimenticando l'unica".
E. Cioran




http://www.youtube.com/watch?v=F3sBCuK1CIQ

giovedì 24 dicembre 2009

I Have A Dream (pensierino di Natale)


E se, semplicemente, si facessero da parte?
Se uscisse di scena Berlusconi, che è diventato ormai il catalizzatore di tutto il peggio che la società italiana può secernere: fanatismo e servilismo da una parte, odio viscerale dall'altra?
Se uscisse di scena la cagnara dei leghisti, degli ex-democristiani di ritorno, degli ex-socialisti allo sbando, dei relitti di Tangentopoli in cerca di riscatto, degli apostati del maoismo in cerca di redenzione?
Se uscisse di scena questa sinistra, ormai dimostratasi incapace di partorire un qualunque progetto politico decente?
Se, semplicemente, dignitosamente, ammettessero il proprio fallimento e lasciassero spazio alla parte sana della società (che c'è, ci deve essere, ne sono convinto)?
Lo so, sto sognando.

mercoledì 23 dicembre 2009

tra due giorni è natale


http://www.youtube.com/watch?v=KM2V4In0re0

martedì 22 dicembre 2009

coerenza e dignità

[Berlusconi usa] metodi [...] tipici dell’onorata società, della mafia. Metodi e toni di tipo mafioso: non è la prima volta che Berlusconi ne fa uso. [...] [L'ha fatto] tutte le volte in cui ha voluto danneggiare un avversario, dicendo bugie, senza avere il coraggio di dire la verità, perché sa bene che potrebbe venir smentito facilmente.
[...]
Berlusconi ha una grande forza che lo sostiene, la televisione. Se fosse un politico qualunque senza Fede e fidi che tutte le sere lo presentano per quello che sembra essere e non per quello che è, il fenomeno Berlusconi si sgonfierebbe in pochissimo tempo. Purtroppo, con il sostegno delle televisioni private sue personali, private di altri e pubbliche, il sistema basato su cio’ che appare convince la gente. Gente ormai rassegnata, stanca, non più indignata come qualche anno fa, che vuole solo divertirsi. Questo è il motivo per cui Berlusconi vince. E’ un fatto di estrema gravità con i poveri mezzi d’informazione che abbiamo, ma che il governo e questa maggioranza sottovalutano in modo difficilmente comprensibile.

[...]
Tutta la potenza di fuoco di Berlusconi si basa non sui programmi e sugli uomini, ma sulla realtà virtuale di ciò che appare e sulle falsità. Insomma: sulla fiction. E se gli porti via lo strumento con cui puo’ diffondere la sua politica-fiction, è chiaro che si sgonfierebbe immediatamente. E’ per questo che Berlusconi grida al complotto contro norme assolutamente normali in una democrazia occidentale.

Se volete sapere chi è l'infuocato antiberlusconiano che nel lontano 1999 pronunciò queste parole, cliccate qui.

lunedì 21 dicembre 2009

domenica 20 dicembre 2009

risate a denti stretti


"Sono contro i rapporti sessuali prima del matrimonio. Fanno arrivare tardi alla cerimonia".
(letta su FaceBook)

sabato 19 dicembre 2009

recensioni in pillole 49-50: "Small Hands" / "Il ritmo del cuore"

Danijel Zezelj, Il ritmo del cuore, Edizioni Di, 1991/2007 (107 pp., 18 €)

Danijel Zezelj, Small Hands, Edizioni Di, 2004 (p.n.n., 18€)

Come si fa a riassumere una storia di Zezelj? È come riassumere un sogno: puoi dire tutto, ma alla fine ti accorgi di non aver detto proprio l'essenziale.
Ad esempio, di “Small Hands” si potrebbe dire che è la storia di un ragazzino nero, forse autistico, forse ritardato, che cresce in un ghetto e vede nel pianoforte di Thelonious Monk l'unica occasione per fuggire. Almeno in sogno.
Oppure, di “Il ritmo del cuore”, si potrebbe dire che è la storia di un percussionista che vive a New York e che attraverso la musica sogna un'Africa di sole e palme e felicità primordiale.
Ma non si sarebbe detto niente.
Poi ci sono le altre storie brevi de “Il ritmo del cuore”, che poi non sono nemmeno storie, ma sogni di sogni, flussi di immagini labilmente collegate a flussi di parole.
Resta il fatto che Zezelj è una delle matite più visionarie del fumetto mondiale.
È nato a Zagabria nel 1966, ha pubblicato molto in Italia e in Francia e da metà anni '90 vive negli Stati Uniti. La sua compagna è la sassofonista Jessica Lurie, e nelle sue storie ha spesso un peso fondamentale la musica, in particolare il jazz e il blues.
Leggetelo.

venerdì 18 dicembre 2009

corso di autodifesa


Ecco bisogna pensare che certi vanno in giro con la faccia sigillata
le parole amare come ferro pronte alla bisogna.
Sono quelli che ti spingerebbero lo sterno a fondo nella sabbia fredda
quelli che pescano pesci abissali e ti fanno assaggiare sangue lento e trasparente.
Molti in giro ne vedi con il segno chiarissimo sulle lingue
l'ustione del ghiaccio.

giovedì 17 dicembre 2009

recensioni in pillole 48 - "Barney e la nota blu"

Loustal / Paringaux, Barney e la blue note, Comma22, 2009 (87 pp., 22€)

Qualcuno, una volta, ha detto che una buona metà delle storie sul jazz si possono riassumere nella STORIA: “un musicista di genio, frustrato dalla discrepanza fra ciò che può raggiungere e la vita grama che i musicisti conducono (per via delle discriminazioni razziali, o della richiesta di rendere la musica commerciale, o perché ha un potenziale che non può raggiungere) impazzisce, o si autodistrugge con l'alcool e con le droghe”.
Questo libro a fumetti di Jacques Loustal e Philippe Paringaux non fa eccezione.
Il protagonista è molto liberamente ispirato a Barney Wilen (1937-1996), geniale sassofonista franco-americano: in pratica, ne riprende il nome e qualche circostanza biografica, ricamandoci sopra una storia del tutto diversa dalla sua. Il fumetto uscì nel 1985 sulla rivista “A suivre” e lo stesso Wilen, due anni, compose anche un disco intitolato “La note bleue”.
Loustal (disegnatore) e Paringaux (critico musicale e sceneggiatore) costruiscono un personaggio che sta un po' tra Charlie Parker e Chet Baker. Geniale, tormentato, dedito all'eroina, incapace di accettare la realtà e la vita, trascina nel suo baratro di nichilismo e disperazione chiunque gli si avvicini.
Loustal nasce illustratore, e infatti, come sempre nei suoi libri, anche in questo i disegni commentano e aggiungono atmosfera a una storia narrata soprattutto dalle parole dello sceneggiatore (non ci sono balloons, tanto per capirci). Lo stile dei disegni è semplice e insieme straordinariamente evocativo, capace di suggerire un'armosfera con pochi segni e poche campiture di acquerello (qui se ne può vedere qualche esempio).
Un bel libro, insomma. Anche se a me, prima o poi, piacerebbe leggere la storia di un musicista jazz felice, soddisfatto, realizzato e magari persino non fumatore. Ce ne sono, credetemi, e sono grandi anche loro.

singapore


http://www.youtube.com/watch?v=nnBzDD_O1Fg

di Tom Waits (da "Rain Dogs", 1985)

Partiamo stanotte per Singapore
Tutti qui siamo matti come cappellai
Mi sono innamorato di una Mora dai capelli castani
Sono partito per la terra dell'annuire
Ho bevuto con tutti i cinesi
Ho camminato per le fogne di Parigi
Ho danzato su un vento colorato
Ho dondolato da una corda di sabbia
Devi dirmi addio

Partiamo stanotte per Singapore
Non ti addormentare quando sei sulla terraferma
Giurin giurello che possa morire
Quando senti i bambini piangere
Lascia scegliere al midollo e alla mannaia
Mentre fai i piedi per le scarpe dei bambini
Per il vicolo di ritorno dall'inferno
Quando senti la campana del campanile
Devi dirmi addio

Frizionalo con la benzina
Finché le sue braccia saranno dure e cattive
D'ora in poi ragazzi questa nave di ferro è la vostra casa
Perciò virate via ragazzi

Partiamo stanotte per Singapore
Raccogliete le coperte dal pavimento
Lavatevi la bocca fuori dalla porta
Tutta la città è fatta di ferro
Ogni testimone diventa vapore
Tutti diventano sogni italiani
Riempitevi le tasche di terra
Prendetevene per un dollaro
Via ragazzi via ragazzi virate via

Il capitano è un nano con un braccio solo
Che getta i dadi lungo il molo
Nella terra dei ciechi l'uomo con un occhio solo è re
Perciò prendete quest'anello

Partiamo stanotte per Singapore
Tutti qui siamo matti come cappellai
Mi sono innamorato di una Mora dai capelli castani
Sono partito per la terra dell'annuire
Ho bevuto con tutti i cinesi
Ho camminato per le fogne di Parigi
Ho bevuto lungo un vento colorato
Ho dondolato da una corda di sabbia
Devi dirmi addio

mercoledì 16 dicembre 2009

"je suis l'empire..."

A chi non è capitato di chiedersi in quale periodo storico avrebbe desiderato vivere? Nel vecchio West? o nella Roma augustea? o magari nel Medioevo?
Beh, io devo confessare di non aver mai amato le età eroiche. Non vorrei essere Cesare, né Alessandro Magno, né Napoleone. Piuttosto, mi piacerebbe vivere in un'età argentea, una di quelle epoche di splendore placido, già un po' guastato dalla decadenza.
Non so: la Roma del II secolo, durante la lunga pace di Antonino Pio. Oppure Alessandria d'Egitto, sotto il regno di Tolomeo Filadelfo: sarei stato un bibliotecario metodico, dedito a chiosare Callimaco e Apollonio Rodio, e magari avrei lasciato qualche epigramma anonimo che poi sarebbe finito nell'Antologia Palatina. Oppure, perché no, avrei amato la Bisanzio sfolgorante e ieratica di Leone VI o di Costantino Porfirogenito, dove avrei deposto con devozione, una ad una, le tessere multicolori di uno sconfinato, mistico mosaico.
O, se proprio dovessi scegliere un'epoca illustre, potrei esser vissuto a Roma ai primi del Cinquecento, e aver servito uno di quei papi lascivi e simoniaci, amanti dell'arte e delle belle concubine. Mi sarei procurato una sinecura ecclesiastica, che non mi avrebbe impedito, quando d'uopo, di apprezzare le grazie di una procace servetta. Vuoi mettere, uscire di casa e incrociare per strada Donato Bramante, o scambiare due chiacchiere con Raffaello, o farsi un bicchiere con Michelangelo.

martedì 15 dicembre 2009

ridere ridere ridere ancora


Non so chi, degli accoliti, ieri raccontava che era andato a trovare in ospedale Mr B. il quale gli avrebbe detto: "Io sto lavorando per il bene del paese, perché mi hanno fatto questo, perché?".
Ecco, lì ho riso, ma come si ride davanti a qualcosa di troppo inquietante per essere vero.

io e federico


Fra le tante cazzate che passano su FaceBook, tempo fa mi è arrivato, non ricordo più da chi, un giochino simpatico con questo testo:
IL PARADISO DEI LIBRI
Regole:
"Non pensateci troppo a lungo. 15 libri che avete letto e che saranno per sempre parte di voi.
I primi 15 che riuscite a ricordare in non più di 15 minuti. Taggate 15 amici, incluso me perché mi interessa sapere cosa scelgono i miei amici."

Tanto per curiosità, la mia lista era questa:
1. Mann, I Buddenbrook
2. Italo Calvino (l'opera omnia)
3. Poe, Racconti
4. I promessi sposi (che è un libro bellissimo, nonostante i prof d'italiano)
5. La Divina Commedia (in realtà è il Libro dei Libri, quindi avrei potuto anche indicare solo questo)
6. Cesare Pavese, La bella estate
7. Svevo, La coscienza di Zeno
8. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo
9. Marquez, Cent'anni di solitudine
10. Carlo Ginzburg, Storia notturna
11. Stevenson, L'isola del tesoro (ma avrei potuto indicare QUALUNQUE libro di Stevenson)
12. Elias Canetti, La lingua salvata
13. Tolstoj, Guerra e pace
14. Bulgakov, Il Maestro e Margherita
15. Leopardi, Operette Morali

Rileggendola, mi sono accorto che sono tutti testi narrativi (Divina Commedia compresa), tranne il testo di Ginzburg, che comunque una forte traccia narrative ce l'ha eccome. E ho pensato che avrei dovuto introdurre almeno due testi di poesia, che per me sono stati l'anticamera della maturità intellettuale: gli “Ossi di seppia”, letti e riletti fin quasi a impararli a memoria in una vecchia edizione dello Specchio Mondadori ormai ridotta a brandelli, e le poesie di Garcia Lorca.
Su Montale non dico nulla perché avrei troppo da dire.
Lorca, invece, non lo rileggo da secoli. Eppure, per un certo periodo scrivevo poesie aprendo a caso l'edizione Guanda delle sue poesie tradotte da Carlo Bo (un vecchio volume regalato da mio padre a mia madre quando erano fidanzati: fa sempre uno strano effetto pensare ai propri genitori come giovani innamorati) e prendendo ispirazione dal primo verso che mi capitava sotto gli occhi.
Lorca lo leggevo senza sapere niente di lui, della sua storia, né della Guerra Civile spagnola (avevo 14 anni), senza aver mai sentito parlare di simbolismo o di surrealismo e compagnia bella. Per molto tempo non ne conobbi neanche il viso, e quando lo vidi feci (e ancora faccio) fatica a collegarlo con l'immagine che me ne ero fatta.
Leggevo le sue prime poesie, che sono spesso mere variazioni musicali, leggevo il “Romancero gitano” e non ci capivo niente, leggevo il “Divan del Tamarit” e mi chiedevo che cosa diavolo fossero le gacelas e le casidas, leggevo “Poeta a New York” e ci capivo meno che niente (l'Ode a Walt Whitman, con tutta quella tirata sugli omosessuali... e che ne sapevo io che Lorca era omosessuale, e Whitman pure?):
Per questo non alzo la voce, vecchio Walt Whitman,
contro il bambino che scrive
un nome di bambina sul cuscino,
né contro il ragazzo che si veste da sposa
nel buio del guardaroba,
né contro i solitari dei casini
che bevono con schifo l’acqua della prostituzione,
né contro gli uomini dal verde sguardo
che amano l’uomo e bruciano le proprie labbra in silenzio.
Ma contro di voi, sì, pederasti delle città,
dalla carne tumefatta e dai pensieri immondi,
madri di fango, arpie, insonni nemici
dell’Amore che distribuisce corone di gioia.
Contro di voi sempre, voi che date ai ragazzi
gocce di lorda morte con amaro veleno.
Contro di voi sempre
Faeries del Nord America,
Pájaros dell’Avana,
Jotos del Messico,
Sarasas di Cádiz,
Apios di Sevilla,
Cancos di Madrid,
Floras di Alicante,
Adelaidas del Portogallo.
Pederasti di tutto il mondo, assassini di colombe!
Schiavi della donna, cagne dei gabinetti,
aperti sulle piazze con febbre di ventaglio
o imboscati in secchi paesaggi di cicuta.
Senza tregua! La morte
sgorga dai vostri occhi
e ammassa fiori grigi sulla sponda del fango.

Eppure non riuscivo a staccarmi da quei versi che mi apparivano come pure sequenze di immagini, splendide nel loro accostamento, senza alcuna preoccupazione per il loro contenuto semantico.
Ancor oggi, forse, potrei recitare a memoria Verde que te quiero verde, Caracola, Cancion de jinete, Tamar e Ammone, e ovviamente il Llanto por Ignacio Sanchez Meijas.
Insomma, mi sono accorto che i versi di Lorca dormivano, in qualche cassetto nascosto della mia memoria, ed è bastato poco per svegliarli.

* * *

CASIDA DEL SONNO ALL'ARIA APERTA

Fiore di gelsomino e toro decollato.
Pavimento infinito. Carta geografica. Sala. Arpa. Alba.
La bambina simula un toro di gelsomini
e il toro è un sanguinoso crepuscolo che bramisce.
Se il cielo fosse un bimbo piccolino,
i gelsomini avrebbero metà di notte oscura,
e il toro circo azzurro senza combattenti,
e un cuore ai piedi d'una colonna.
Ma il cielo è un elefante,
e il gelsomino è un'acqua senza sangue
e la bambina è un mazzolino notturno
sopra l'immenso pavimento oscuro.
Fra il gelsomino e il toro
o uncini d'avorio o gente addormentata.
Nel gelsomino un elefante e nubi
e nel toro lo scheletro della bambina.

* * *

LA SPOSA INFEDELE

E io me la portai al fiume
credendo che fosse ragazza,
invece aveva marito.
Fu la notte di San Giacomo
e quasi per compromesso
si spensero i lampioni
e si accesero i grilli.
Dopo l’ultima curva
toccai i suoi seni addormentati,
e mi si aprirono subito
come rami di giacinti.
L’amido della sua sottana
mi suonava nell’orecchio,
come una pezza di seta
lacerata da dieci coltelli.
Senza luce d’argento sulle loro cime
sono cresciuti gli alberi,
e un orizzonte di cani
latra molto lontano dal fiume.
Passati i rovi,
i giunchi e gli spini,
sotto la chioma dei suoi capelli
feci una buca nella sabbia.
Io mi levai la cravatta.
Lei si levò il vestito.
Io il cinturone con la pistola.
Lei i suoi quattro corpetti.
Né tuberose né chiocciole
hanno la pelle tanto sottile,
né cristalli sotto la luna
risplendono con questa luce.
Le sue cosce mi sfuggivano
come pesci sorpresi,
metà piene di fuoco,
metà piene di freddo.
Quella notte percorsi
il migliore dei cammini,
sopra una puledra di madreperla
senza briglie e senza staffe.
Non voglio dire, da uomo,
le cose che lei mi disse.
La luce della ragione
mi fa essere molto discreto.
Sporca di baci e sabbia,
io la portai via dal fiume.
Con l’aria si battevano
le spade dei gigli.
Mi comportai da quello che sono.
Come un gitano autentico.
Le regalai un tavolino da lavoro
grande di raso paglierino,
e non volli innamorarmi
perchè avendo marito
mi disse che era ragazza
quando la portavo al fiume.

* * *

CANZONE DI CAVALIERE

Cordova.
Lontana e sola.

Cavallina nera, grande luna,
e olive nella mia bisaccia.
Pur conoscendo le strade
mai più arriverò a Cordova.

Nel piano, nel vento
cavallina nera, luna rossa.
La morte mi sta guardando
dalle torri di Cordova.

Ahi, che strada lunga!
Ahi, la mia brava cavalla!
Ahi, che la morte mi attende
prima di giungere a Cordova.

Cordova.
Lontana e sola.

lunedì 14 dicembre 2009

involuzione

Mina (in carne ed ossa) per la Barilla nel 1967. Regia di Antonello Falqui. Pura avanguardia televisiva.

http://www.youtube.com/watch?v=obucaJJ9p_c

Mina (solo voce) per la Barilla nel 2009. Regia di tale Nicolas Caicoya (??). Giudicate da soli.

http://www.youtube.com/watch?v=utTVXOa1K7k

domenica 13 dicembre 2009

bebop evening

Doppio Bird... tanto per gradire.


http://www.youtube.com/watch?v=wkvCDCOGzGc


http://www.youtube.com/watch?v=8MVGxY-mnz4

sabato 12 dicembre 2009

porco vaccino


La pediatra di mia figlia: "La bimba va vaccinata assolutamente, anche perché soffre di asma bronchiale (in realtà ha avuto una solta volta un po' d'asma, per via di un forte raffreddore, NdA); il vaccino è sicuro, il governo non lo consiglierebbe se non lo fosse; i medici che lo sconsigliano sono degli irresponsabili".

Il pediatra di un amico: "Non vaccinate assolutamente la bimba, perché il vaccino non è sperimentato a sufficienza e può essere più pericoloso dell'influenza stessa, che è abbastanza lieve".

I telegiornali: "Vaccinare tutte le categorie a rischio per evitare la pandemia".

Una signora dal parrucchiere: "I medici di famiglia prendono una percentuale su ogni vaccino fatto dai loro pazienti. Lo so perché mio marito è medico".

Mio padre (anestesista): "Vaccinatevi".

La bimba (due anni compiuti ad agosto) ha fatto la prima dose ed è stata una settimana con febbre, tosse, inappetenza, diarrea; dormiva giornate intere e quando era sveglia piangeva; bisognava tenerla in braccio tutto il tempo. Ora si tratta di decidere se farle fare la seconda dose (e rischiare di farla star male per tutte le vacanze di Natale).

Insomma: si mettano d'accordo. Una risposta, una, chiara, univoca, please.

vecchi versi (2)

Questi sono datati 11 maggio 2005.


SOTTO LA FASCIATURA

pelle morta – nera
quella nuova
di un rosa commovente. L'indice
leggermente obliquo, ingrossato alla nocca,
ottuso al sangue.

Eccomi – pensavo – scortecciato.
Guardate
la gemma inturgidire, osservate il tempo
flettersi.
Avrete riconosciuto
la curva cieca, il lavoro demente.

Dovrò riportarlo a casa
con cautela, regolare le lancette,
sintonizzarmi alla primavera,
reimparare il vagito.

venerdì 11 dicembre 2009

minotauri urbani

Uno dei video più unheimliche che io abbia mai visto.


http://www.youtube.com/watch?v=_TssuSYrxVI

giovedì 10 dicembre 2009

chapeau

Mina, devo confessarlo, mi è sempre stata sommamente antipatica.
Ma davanti a certe cose bisogna arrendersi.
Giù il cappello, signori.





mercoledì 9 dicembre 2009

i racconti dell'età del jazz 11 - Chet Baker


Di retorica su Chet Baker se n'è fatta e ancora se ne farà, a non finire. Il James Dean del jazz, il maudit, la sofferenza, la sublimazione, il romanticismo, amore e morte.
Tutto vero, per carità. Ma in tutto ciò si perde un'informazione fondamentale: che Chet era un grande musicista. Grande, intendo, anche dal punto di vista tecnico (almeno da giovane, prima che gli stravizi cominciassero a rovinargli voce e imboccatura).

Ad esempio, sentitelo qui, nel celebre quartetto di Gerry Mulligan.



martedì 8 dicembre 2009

genus irritabile vatum


Qui trovate gli originali, e anche altre perle consimili.

Percy Bysshe Shelley sul “Childe Harold” di Byron
Niente potrebbe essere meno sublime della vera fonte di queste espressioni di disprezzo e disperazione. Il fatto è che [...] le donne italiane con cui [Byron] si accompagna sono forse le più disprezzabili di tutte quelle che esistono sotto il sole: le più ignoranti, le più disgustose, le più bigotte; le contesse puzzano d'aglio così forte che di solito un inglese non può nemmeno avvicinarle.
Lettera a Thomas Love Peacock, 22 dicembre 1818

Charles Lamb su Shelley
Shelley l'ho visto una volta. La sua voce era il più fastidioso stridio dal quale io sia mai stato tormentato.
Lettera a Bernard Barton, 9 ottobre 1822

George Meredith su Dickens
Non molto di Dickens sopravvivrà, perché ha pochissima relazione con la vita. Era l'incarnazione del cockney, un caricaturista che scimmiottava il moralista; avrebbe dovuto limitarsi ai racconti.
In Edward Clodd, “Memories” (1916)

G. K. Chesterton su Tennyson
Le sue opinioni si conformavano in gran parte a quelle della regina Vittoria, anche se era dotato di uno stile letterario più fortunato. [...] Aveva molto da dire; ma aveva più forza espressiva di quanta ne servisse per qualunque cosa abbia mai avuto da esprimere.
The Victorian Age in Literature (1913)

Virginia Woolf su Henry James
Sommamente americano, presumo, nella sua determinazione ad essere aristocratico, e nella leggera ottusità su che cosa sia l'aristocrazia.
Diario, 12 settembre 1921

Zelda Fitzgerald su F. Scott Fitzgerald
Mi pare di aver riconosciuto in una pagina brani di un mio vecchio diario misteriosamente scomparso poco dopo il mio matrimonio, e anche stralci di lettere che, sebbene parecchio rimaneggiati, mi suonavano vagamente familiari. In effetti, il signor Fitzgerald – credo che il suo nome si scriva così – sembra ritenere che il plagio cominci tra le pareti domestiche... Sotto ogni altro punto di vista, il libro è assolutamente perfetto.
Recensione di “Belli e dannati”, The New York Tribune, 2 aprile 1922


Evelyn Waugh su Marcel Proust
Sto leggendo Proust per la prima volta. Roba di poco valore. Credo avesse delle tare mentali. Mi ricordo di quanto mi sentivo piccolo quando la gente parlava di lui, e non osavo ammettere di non riuscire a reggerlo.
Lettera a John Betjeman, febbraio 1948

Vladimir Nabokov su Ernest Hemingway
L'ho letto per la prima volta all'inizio degli anni '40, qualcosa su campane, palle e tori, e l'ho detestato.
The Contemporary Writer: Interviews with 16 Novelists and Poets (1972)

Philip Larkin su Kingsley Amis
L'unica ragione per la quale spero di morire io per primo è che troverei praticamente impossibile dire qualcosa di carino su di lui al suo funerale. Che brutta cosa da dire, ma sai che cosa intendo. Probabilmente lui pensa lo stesso di me.
Lettera a Robert Conquest, 30 ottobre 1983

Bertrand Russell su Aldous Huxley
[L'Enciclopedia Britannica] è l'unico libro che abbia mai influenzato Huxley. Ascoltandolo parlare, potevi sempre indovinare quale volume stava leggendo. Un giorno era Alpi, Ande e Appennini, il giorno dopo l'Himalaya e il Giuramento di Ippocrate.
Lettera a Ronald W. Clark, luglio 1965

Gore Vidal su John Updike
Non lo sopporto. Sta sempre a lamentarsi di quelli nati nella bambagia... Oh, si presenta come il figlio di proletari, una specie di D. H. Lawrence moderno, ma è solo un altro noioso ragazzo borghese che si fa strada a spintoni fino in cima, se ce la fa.
Intervista radiofonica, 23 marzo 2008

Gore Vidal su Alexander Solzhenitsyn
È un cattivo romanziere e uno sciocco. Questa combinazione, negli Stati Uniti, produce di solito una grossa popolarità.
Views from a Window: Conversations with Gore Vidal (1980)

Martin Amis su Michael Crichton
Nei suoi momenti migliori, Crichton è una via di mezzo tra Stephen Jay Gould e Agatha Christie. Gli animali – specialmente, se non esclusivamente, i velociraptor – sono la cosa che gli riesce meglio. Le persone sono quella che gli riesce peggio. Le persone, e la prosa.
Recensione de “Il mondo perduto”, The Sunday Times, ottobre 1995

lunedì 7 dicembre 2009

test


Quanto sei sanseverese?
Dimmi quanto capisci di questo video e ti darò la risposta.


http://www.youtube.com/watch?v=Dt9n0AhUUY8

100% = sanseverese fino al midollo;
75% = sei sulla buona strada, urge uno stage di tre settimane a San Berardino;
50% = devi ancora lavorare molto sulla tua sanseveresità;
25% = yeoweffrèèèign! (non lo traduco, tanto non lo capisci);
meno del 25% = padano puro.

domenica 6 dicembre 2009

lampi - 35


La cuginetta, compagna di giochi, con cui fino a cinque minuti prima si era rotolato sul tappeto facendosi il solletico e dandosi pizzicotti e insultandosi con le parolacce più sporche che venissero loro in mente, ora si macchia di marmellata la maglietta nuova e scappa in bagno per lavarla. Lui, bambacione, la segue; e fa appena in tempo a intravvedere il lampo di un seno appena sbocciato, prima che lei gli sbatta la porta in faccia scoccandogli uno sguardo colmo di furia femminile.

sabato 5 dicembre 2009

ossessioni



Mannaggia a YouTube.
Bellissima cosa, non metto in dubbio, ma finisce per alimentare il lato ossessivo-compulsivo della mia personalità.
Ad esempio, ultimamente ho cominciato ad essere ossessionato dal Notturno Op. 9 n. 3 di Chopin, e YouTube mi ha dato l'agio e l'estro di ascoltarne quante versioni voglio. Risultato: sono settimane che non faccio altro, dalla mattina alla sera
Nei momenti liberi (o meglio: nei momenti in cui a casa non c'è la mia bambina, la quale - chissà perché - ultimamente si è fissata che non devo suonare il pianoforte e comincia a strillare appena mi vede aprirlo) riprendo il mio vecchio spartito dei Notturni, spazzo via la polvere e leggo e rileggo questo Notturno (non dico "studio" perché il termine mi sembra eccessivo).
Dicevo di YouTube, però. E dunque ho ritrovato la versione di Artur Rubinstein, la prima in assoluto che sentii, a nove o dieci anni, su una cassetta ormai quasi del tutto smagnetizzata, che arrivò a casa mia per vie misteriose (credo di ricordare che ci arrivò per posta, forse come parte di un'offerta commerciale di cui non ricordo assolutamente niente).



Ho trovato quella di Maurizio Pollini, pianista che ammiro enormemente ma che - purtroppo - su Chopin non ho mai apprezzato molto. Troppo rigido, controllato, poco naturale.



Quella di Vladimir Horowitz, sensuale e un po' eccessiva come suo solito.



Quella di Ashkenazi, che come al solito sfiora l'assoluto.



Quella di Heinrich Neuhaus, gran pianista che (confesso) finora conoscevo solo di nome.



Quella, niente male, di Livia Rév, che invece non avevo mai sentito nominare.



Quella impetuosa di Claudio Arrau.



Quella di Daniel Baremboim, pianista che non mi è mai piaciuto e che continua a non piacermi.



Quella di Maria João Pires, altra grande artista che conosco pochissimo.



OK, se siete arrivati fin qui avete capito perché ho parlato di "ossessione".

E visto che ci siamo: in questo stesso giorno, undici anni fa, all'una di notte, in una vecchia Fiat Uno color verde-petrolio con i vetri completamente appannati, parcheggiata di fronte al mio appartamento da studente in piazza Morlacchi, a Perugia, diedi il primo bacio alla ragazza che sarebbe poi diventata mia moglie. (Appena staccate le labbra, il mio compagno di stanza ritornò a casa completamente ubriaco e, nell'aprire il portoncino d'ingresso, lanciò nel silenzio della notte perugina un clamoroso, monumentale rutto, che ci fece scoppiare entrambi in una risata incontrollabile).
Questo post è dedicato a Daniela.

venerdì 4 dicembre 2009

i quattro ragazzi di...


... sì, certo, di Liverpool. Ma lo sapevate che almeno tre dei Beatles (Lennon, McCartney e Harrison) venivano da famiglie di origine irlandese?
Del resto non è sorprendente, dato che Liverpool ospita la più grande popolazione di oriundi irlandesi del Regno Unito (i primi emigrarono lì durante la Grande Carestia, negli anni Quaranta-Cinquanta dell'Ottocento) e la maggior parte di loro vive proprio nel Merseyside, il quartiere dove nacquero i Beatles. Tutti e tre erano di terza generazione, vale a dire nipoti di emigrati irlandesi. Pare che il cognome originale della famiglia Lennon fosse "O'Leannain".
Questa sarebbe solo una curiosità biografica, se non fosse che sia Lennon sia McCartney, durante la loro stagione da solisti, scrissero canzoni sulla questione irlandese, entrambe ispirate alla "Bloody Sunday", il massacro di 26 dimostranti irlandesi da parte dell'esercito inglese, avvenuto a Derry il 30 gennaio 1972.
Anzi, la canzone di Lennon si chiama addirittura "Sunday Bloody Sunday", proprio come quella ben più famosa degli U2, uscita però più di dieci anni dopo, nel 1983. Si trova sul disco "Some Time in New York City", del 1972, e qui trovate il testo e qualche informazione in più.



Quella di McCartney, invece, si chiama "Give Ireland Back to the Irish" e venne incisa con la sua nuova band, i Wings. All'epoca uscì solo come singolo (fu inclusa, nel 1993, in una versione rimasterizzata del disco "Wild Life"). Ovviamente, fu censurata dalla BBC; inoltre il chitarrista dei Wings, Jimmy McCulloch, era di origini irlandesi, e pare che suo fratello sia stato pestato da dei teppisti proprio a causa di questa canzone.



Buon ascolto.

giovedì 3 dicembre 2009

recensioni in pillole 47 - "Canoni americani"

Alessandro Portelli, Canoni Americani. Oralità, letteratura, cinema, musica, Donzelli 2004 (375 pp., € 23,50)

Ah, l'America, l'America. La si può amare, odiare, esaltare, criticare, ammirare, desiderare, temere, ma non si può far finta che non esista. Perché gli Stati Uniti d'America sono, che lo vogliamo o no, il centro (politico, culturale, economico, militare, ideologico) del mondo in cui viviamo.
Questa bella raccolta di saggi affronta l'America da un punto di vista che è, apparentemente, solo letterario, o lato sensu culturale: i capitoli parlano di romanzi (La lettera scarlatta, Huckleberry Finn, Furore, Il giovane Holden, Underworld), di film (Fa' la cosa giusta), di canzoni (uno, bellissimo, è dedicato a Bruce Springsteen). Lo scopo è esplorare il “canone” degli autori americani, dimostrando come in realtà esso sia composto di molti canoni paralleli, spesso nascosti, di come sia insomma plurale, molteplice, non-unitario.
Ecco quindi che insieme ad Hawthorne, Melville ed Henry James ci sono le voci degli afroamericani (le slave narratives, Frederick Douglass, Toni Morrison, Spike Lee) e quelle dei nativi; ecco che in Huckleberry Finn emerge, accanto a quella dell'eroe, la figura del nero Jim, con la sua umanità sempre in pericolo di essere negata; ecco che, dalle sacche più arcaiche della geografia, emergono le figure inquietanti, semi-umane, addirittura aliene, degli hillbillies; ecco che dietro la cultura scritta si profila una cultura orale ricchissima e sfuggente, che la innerva e spesso la contraddice.
L'America che emerge è la terra promessa e insieme la terra della dannazione, il “paese delle opportunità” e il paese dell'oppressione, la più grande democrazia del mondo e, allo stesso tempo, il paese costruito su due peccati originali: il genocidio degli indiani e la schiavitù dei neri.
Insomma, il discorso di Portelli (professore di letteratura americana alla Sapienza, ma anche studioso di storia orale, critico musicale e opinionista per il Manifesto) è sempre, più o meno apertamente, politico.
E infatti il libro si conclude con un saggio che analizza i discorsi di Bush nei quali veniva teorizzata la dottrina della “guerra preventiva”, non solo smontandone la logica, ma anche e soprattutto individuandone i legami, più o meno impliciti, con la lunga storia politica e culturale dell'America.
Vivamente consigliato a chi cerca una chiave per penetrare in quel grande enigma che si chiama Stati Uniti d'America, al di là dei facili schematismi, degli slogan, dei facili amori e degli ancor più facili odii.

mercoledì 2 dicembre 2009

amarcord musicale 8 - perle

Sono sempre stato convinto che le cose più belle di un artista si celino spesso tra quelle meno conosciute.
Questa canzone è una prova (a parte l'arrangiamento un po' lezioso e l'assolo finale che, nonostante al sax ci sia il grande Mario Schiano, mi pare davvero brutto).
Questa è la versione originale, che si trova su "De Gregori" (1978). Ma ce n'è una versione molto più bella, semplicissima, solo voce e chitarra, registrata da un fan con un registratore amatoriale: è sul live "Niente da capire" (1990), e vi consiglio caldamente di ascoltarla.



Due Zingari (F. de Gregori)

"Ecco stasera mi piace così
con queste stelle appiccicate al cielo
la lama del coltello nascosta nello stivale
e il tuo sorriso trentadue perle".
Così disse il ragazzo
"Nella mia vita non ho mai avuto fame
e non ricordo sete di acqua o di vino
ho sempre corso libero felice come un cane
tra la campagna e la periferia
e chissà da dove venivano i miei
dalla Sicilia o dall'Ungheria
avevano occhi veloci come il vento
leggevano la musica
leggevano la musica nel firmamento".

Rispose la ragazza: "Ho tredici anni
trentadue perle nella notte
e se potessi ti sposerei
per avere dei figli con le scarpe rotte.
Girerebbero questa ed altre città
questa ed altre città
a costruire giostre e a vagabondare
ma adesso è tardi anche per chiaccherare".

E due zingari stavano appoggiati alla notte
forse mano nella mano e si tenevano negli occhi.
Aspettavano il sole del giorno dopo
senza guardare niente.
Sull'autostrada accanto al campo
le macchine passano velocemente
e gli autotreni mangiano chilometri
sicuramente vanno molto lontano
gli autisti si fermano e poi ripartono
dicono: "C'è nebbia bisogna andare piano".
Si lasciano dietro un sogno metropolitano.

martedì 1 dicembre 2009

recensione in pillole 46 - "Valentina Mela Verde"

Grazia Nidasio, Valentina Mela Verde 1. Tutte le storie 1969 1970 1971, Coniglio Editore 2009 (250 pp., € 24)

“Fumetto per ragazze”? Ma va' là...
O meglio: Valentina Mela Verde nacque nel 1969 con l'idea di dedicare, all'interno del “Corriere dei Piccoli”, uno spazio alle ragazze. Le storie dovevano raccontare piccoli fatti di vita quotidiana, accoppiati con consigli sulla moda, il comportamento, la pettinatura, eccetera eccetera. Insomma, tutto tranquillo.
Ma non avevano fatto i conti con Grazia Nidasio, uno dei geni misconosciuti del nostro fumetto, che in breve tempo riuscì a creare su quelle pagine un vero e proprio universo narrativo, vivo e vitale.
Attorno alla protagonista, Valentina Morandini, undicenne milanese simpatica e intelligente, ruotano una miriade di personaggi: la pestifera sorellina Stefi, il fratello contestatore Cesare detto “Miura”, la mamma e il papà solidamente borghesi, lo strambo cane Popoff, le amiche del Club delle Mele Verdi (ognuna con una sua personalità, una sua storia, una sua verità), e poi gli amici, i parenti, i conoscenti più o meno occasionali. La Nidasio si ritagliò anche uno spazio tutto per sé, con l'alter ego della zia Dina, l'artista della famiglia.
Il tono delle vicende era sempre lieve e ironico, i disegni apparentemente semplici, ma in realtà di sofisticata, studiatissima eleganza, con i colori che spesso ammiccavano alle tendenze grafiche dell'epoca.
Nelle storie, pubblicate tra il 1969 e il 1976, cominciò man mano a far capolino l'Italia di allora: i primi contestatori, gli idoli dei teen-agers (Valentina è un'appassionata di Mal dei Primitives, il fratello dei Beatles e del folk-rock più impegnato), la sensibilità ecologista, la voglia di indipendenza, gli hippies, l'emigrazione meridionale al Nord, il pacifismo, le scuole sperimentali.
Il tutto senza mai calcare la mano, senza darlo a vedere, eppure con la massima serietà e con una straordinaria capacità di immedesimarsi nei drammi, piccoli e grandi, dell'adolescenza.
Incantevole e insieme profondo.