martedì 15 dicembre 2009

io e federico


Fra le tante cazzate che passano su FaceBook, tempo fa mi è arrivato, non ricordo più da chi, un giochino simpatico con questo testo:
IL PARADISO DEI LIBRI
Regole:
"Non pensateci troppo a lungo. 15 libri che avete letto e che saranno per sempre parte di voi.
I primi 15 che riuscite a ricordare in non più di 15 minuti. Taggate 15 amici, incluso me perché mi interessa sapere cosa scelgono i miei amici."

Tanto per curiosità, la mia lista era questa:
1. Mann, I Buddenbrook
2. Italo Calvino (l'opera omnia)
3. Poe, Racconti
4. I promessi sposi (che è un libro bellissimo, nonostante i prof d'italiano)
5. La Divina Commedia (in realtà è il Libro dei Libri, quindi avrei potuto anche indicare solo questo)
6. Cesare Pavese, La bella estate
7. Svevo, La coscienza di Zeno
8. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo
9. Marquez, Cent'anni di solitudine
10. Carlo Ginzburg, Storia notturna
11. Stevenson, L'isola del tesoro (ma avrei potuto indicare QUALUNQUE libro di Stevenson)
12. Elias Canetti, La lingua salvata
13. Tolstoj, Guerra e pace
14. Bulgakov, Il Maestro e Margherita
15. Leopardi, Operette Morali

Rileggendola, mi sono accorto che sono tutti testi narrativi (Divina Commedia compresa), tranne il testo di Ginzburg, che comunque una forte traccia narrative ce l'ha eccome. E ho pensato che avrei dovuto introdurre almeno due testi di poesia, che per me sono stati l'anticamera della maturità intellettuale: gli “Ossi di seppia”, letti e riletti fin quasi a impararli a memoria in una vecchia edizione dello Specchio Mondadori ormai ridotta a brandelli, e le poesie di Garcia Lorca.
Su Montale non dico nulla perché avrei troppo da dire.
Lorca, invece, non lo rileggo da secoli. Eppure, per un certo periodo scrivevo poesie aprendo a caso l'edizione Guanda delle sue poesie tradotte da Carlo Bo (un vecchio volume regalato da mio padre a mia madre quando erano fidanzati: fa sempre uno strano effetto pensare ai propri genitori come giovani innamorati) e prendendo ispirazione dal primo verso che mi capitava sotto gli occhi.
Lorca lo leggevo senza sapere niente di lui, della sua storia, né della Guerra Civile spagnola (avevo 14 anni), senza aver mai sentito parlare di simbolismo o di surrealismo e compagnia bella. Per molto tempo non ne conobbi neanche il viso, e quando lo vidi feci (e ancora faccio) fatica a collegarlo con l'immagine che me ne ero fatta.
Leggevo le sue prime poesie, che sono spesso mere variazioni musicali, leggevo il “Romancero gitano” e non ci capivo niente, leggevo il “Divan del Tamarit” e mi chiedevo che cosa diavolo fossero le gacelas e le casidas, leggevo “Poeta a New York” e ci capivo meno che niente (l'Ode a Walt Whitman, con tutta quella tirata sugli omosessuali... e che ne sapevo io che Lorca era omosessuale, e Whitman pure?):
Per questo non alzo la voce, vecchio Walt Whitman,
contro il bambino che scrive
un nome di bambina sul cuscino,
né contro il ragazzo che si veste da sposa
nel buio del guardaroba,
né contro i solitari dei casini
che bevono con schifo l’acqua della prostituzione,
né contro gli uomini dal verde sguardo
che amano l’uomo e bruciano le proprie labbra in silenzio.
Ma contro di voi, sì, pederasti delle città,
dalla carne tumefatta e dai pensieri immondi,
madri di fango, arpie, insonni nemici
dell’Amore che distribuisce corone di gioia.
Contro di voi sempre, voi che date ai ragazzi
gocce di lorda morte con amaro veleno.
Contro di voi sempre
Faeries del Nord America,
Pájaros dell’Avana,
Jotos del Messico,
Sarasas di Cádiz,
Apios di Sevilla,
Cancos di Madrid,
Floras di Alicante,
Adelaidas del Portogallo.
Pederasti di tutto il mondo, assassini di colombe!
Schiavi della donna, cagne dei gabinetti,
aperti sulle piazze con febbre di ventaglio
o imboscati in secchi paesaggi di cicuta.
Senza tregua! La morte
sgorga dai vostri occhi
e ammassa fiori grigi sulla sponda del fango.

Eppure non riuscivo a staccarmi da quei versi che mi apparivano come pure sequenze di immagini, splendide nel loro accostamento, senza alcuna preoccupazione per il loro contenuto semantico.
Ancor oggi, forse, potrei recitare a memoria Verde que te quiero verde, Caracola, Cancion de jinete, Tamar e Ammone, e ovviamente il Llanto por Ignacio Sanchez Meijas.
Insomma, mi sono accorto che i versi di Lorca dormivano, in qualche cassetto nascosto della mia memoria, ed è bastato poco per svegliarli.

* * *

CASIDA DEL SONNO ALL'ARIA APERTA

Fiore di gelsomino e toro decollato.
Pavimento infinito. Carta geografica. Sala. Arpa. Alba.
La bambina simula un toro di gelsomini
e il toro è un sanguinoso crepuscolo che bramisce.
Se il cielo fosse un bimbo piccolino,
i gelsomini avrebbero metà di notte oscura,
e il toro circo azzurro senza combattenti,
e un cuore ai piedi d'una colonna.
Ma il cielo è un elefante,
e il gelsomino è un'acqua senza sangue
e la bambina è un mazzolino notturno
sopra l'immenso pavimento oscuro.
Fra il gelsomino e il toro
o uncini d'avorio o gente addormentata.
Nel gelsomino un elefante e nubi
e nel toro lo scheletro della bambina.

* * *

LA SPOSA INFEDELE

E io me la portai al fiume
credendo che fosse ragazza,
invece aveva marito.
Fu la notte di San Giacomo
e quasi per compromesso
si spensero i lampioni
e si accesero i grilli.
Dopo l’ultima curva
toccai i suoi seni addormentati,
e mi si aprirono subito
come rami di giacinti.
L’amido della sua sottana
mi suonava nell’orecchio,
come una pezza di seta
lacerata da dieci coltelli.
Senza luce d’argento sulle loro cime
sono cresciuti gli alberi,
e un orizzonte di cani
latra molto lontano dal fiume.
Passati i rovi,
i giunchi e gli spini,
sotto la chioma dei suoi capelli
feci una buca nella sabbia.
Io mi levai la cravatta.
Lei si levò il vestito.
Io il cinturone con la pistola.
Lei i suoi quattro corpetti.
Né tuberose né chiocciole
hanno la pelle tanto sottile,
né cristalli sotto la luna
risplendono con questa luce.
Le sue cosce mi sfuggivano
come pesci sorpresi,
metà piene di fuoco,
metà piene di freddo.
Quella notte percorsi
il migliore dei cammini,
sopra una puledra di madreperla
senza briglie e senza staffe.
Non voglio dire, da uomo,
le cose che lei mi disse.
La luce della ragione
mi fa essere molto discreto.
Sporca di baci e sabbia,
io la portai via dal fiume.
Con l’aria si battevano
le spade dei gigli.
Mi comportai da quello che sono.
Come un gitano autentico.
Le regalai un tavolino da lavoro
grande di raso paglierino,
e non volli innamorarmi
perchè avendo marito
mi disse che era ragazza
quando la portavo al fiume.

* * *

CANZONE DI CAVALIERE

Cordova.
Lontana e sola.

Cavallina nera, grande luna,
e olive nella mia bisaccia.
Pur conoscendo le strade
mai più arriverò a Cordova.

Nel piano, nel vento
cavallina nera, luna rossa.
La morte mi sta guardando
dalle torri di Cordova.

Ahi, che strada lunga!
Ahi, la mia brava cavalla!
Ahi, che la morte mi attende
prima di giungere a Cordova.

Cordova.
Lontana e sola.

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