venerdì 31 dicembre 2010

per l'anno nuovo


La poesia è essenziale per l'essere umano, perché l'essere umano non può raggiungere la verità: il massimo a cui può arrivare è la bellezza.

(Alejandro Jodorowski)

giovedì 30 dicembre 2010

recensioni in pillole 85 - "Avanti, Jeeves!"

P. G. Wodehouse, Avanti Jeeves!, Bietti 1973 (273 pp.)

Questo libro mi ha stimolato almeno due riflessioni.
La prima è che anche i pranzi di Natale dai suoceri possono servire a qualcosa. Ad esempio, è stato proprio durante il (dopo-)pranzo di Natale che, ispezionando la libreria nel tentativo di combattere la sonnolenza vischiosa indotta da cappelletti in brodo pasta al forno (due porzioni) arrosto di maiale lesso misto con verdure tiramisù torrone pandoro e paste assortite, ho scorto questo libro.
La seconda è che, per essere grati a uno scrittore, non serve che ci ispiri profonde ponderazioni, che svisceri misteri insondabili o che smuova recondite corde emotive. Io, ad esempio, sono grato a Sir Pelham Greenville Wodehouse per avermi regalato un paio di giorni di buonumore.
I racconti e romanzi di Jeeves sono notissimi nei paesi anglosassoni (apprendo da Wikipedia che in Gran Bretagna, nei primi anni Novanta, ne fu tratta anche una serie di telefilm, protagonisti un celebre duo comico, Fry & Laurie, dove Laurie altri non è se non Hugh Laurie, conosciuto da noi come il tenebroso e tormentato Dr. House). “Carry On, Jeeves”, uscito nel 1925, è uno dei primi della serie (anzi, sempre secondo Wikipedia, il secondo libro interamente dedicato al personaggio).
La voce narrante, come sempre, è quella di Bertie Wooster, giovane rampollo di famiglia aristocratica inglese, ricco, nullafacente, completamente idiota, ignorante come una capra e incapace di combinare alcunché di buono per sé e per gli altri.
Le trame sono, di per sé, abbastanza semplici: all'inizio, Bertie si infila in qualche pasticcio nel tentativo risolvere un problema suo o di qualcuno dei suoi tanti amici; problema nel quale in genere è coinvolto qualche ricco parente, dal cui generoso portafogli essi dipendono per proseguire le proprie svagate esistenze di sfaccendati. I piani di Bertie si risolvono sempre, senza eccezioni, in completi disastri. Per fortuna, accanto a lui c'è l'onnipresente, imperturbabile e geniale Jeeves, il suo cameriere personale.
Sarà la fertile mente di Jeeves a partorire lo stratagemma che caverà tutti d'impiccio.
I personaggi sono sagome prive di profondità psicologica, i loro problemi sono assolutamente futili e tutto si svolge nel mondo vacuo e dorato della buona società britannica o americana. Eppure, da questa materia impalpabile, Wodehouse riesce a costruire racconti che sono dei miracoli di garbo, di ironia e di sapienza narrativa.
Tanto di cappello.

mercoledì 29 dicembre 2010

recensioni in pillole 84 - "Settanta"

Marco Belpoliti, Settanta, Einaudi 2001 (302 pp., € 16,53)

Mi interessano gli anni Settanta. Forse perché li sento come un punto liminale, nel quale vanno a esaurirsi molte cose iniziate nei due decenni precedenti, per lasciar posto – purtroppo – a molte altre che oggi ci circondano. O, come scrive Belpoliti, “negli anni Ottanta il Novecento si chiude, con vent'anni di anticipo”.
Questo libro lo comprai quando uscì. Mi ero da poco laureato (madonna, già dieci anni sono passati) e ancora pensavo che il mio futuro sarebbe stata la critica letteraria (poi ho cambiato strada, per fortuna mia e della critica).
Marco Belpoliti (uno dei pochi critici che oggi valga la pena di leggere) racconta sette storie sugli anni Settanta (e dico “storie” perché la sottotraccia narrativa scorre parallela, se non preponderante, a quella critica): le voci degli intellettuali – Sciascia, Fortini, Arbasino, Calvino, Eco, Elsa Morante – che riflettono sulla prigionia e la morte di Aldo Moro (Il caso Moro); le traiettorie simili e insieme distanti di Goffredo Parise e Pier Paolo Pasolini (La fine dell'Arcadia cristiana); l'interesse antropologico nel tardo Calvino (La decapitazione dei capi); una rivista progettata da Calvino con Gianni Celati e mai uscita (Nella grotta di Alì Babà); le insospettabili convergenze tra Calvino e Giorgio Manganelli (La retta e il tapiro); una lettura parallela di “Palomar” e dei “Sillabari” di Parise (La pietra e il cuore); la controcultura bolognese ricostruita attraverso gli studi di Piero Camporesi, Gianni Celati, Carlo Ginzburg e Giuliano Scabia sulle culture subalterne (Carnevale a Bologna).
Non un ritratto esaustivo degli anni Settanta, ma piuttosto sette possibili sguardi, nei quali ritornano spesso gli stessi personaggi. E soprattutto ritorna un tema: quello dell'intellettuale che, uscito già piuttosto malconcio dal decennio precedente, si trova davanti a una realtà che rifiuta di comporsi in ordini, categorie e ideologie.
E che, forse, ha smesso per sempre di farlo.


P.S.: questa che ho letto io è la prima edizione. Apprendo dal sito dell'Einaudi che ne è uscita quest'anno un'altra, ampliata (e ovviamente più costosa), che è quella di cui allego la copertina.

martedì 28 dicembre 2010

recensioni in pillole 82/83 - "Rosco & Sonny" / "Gli aristocratici"

Claudio Nizzi / Rodolfo Torti, Rosco & Sonny
Alfredo Castelli / Ferdinando Tacconi, Gli aristocratici


Ah, quei vecchi fumetti degli anni Settanta e Ottanta: il Corriere dei ragazzi, il Giornalino, ogni tanto (di nascosto, per via delle donne nude) Lanciostory o Skorpio. Alcuni li trovavo in parrocchia, altri a casa delle nonne, acquisti d'infanzia dei vari zii.
Di recente ne ho riletto qualcuno, grazie ai volumi dei “Maestri del Fumetto”, pubblicati un paio d'anni fa come allegato a "Panorama" e recuperati in fumetteria, a prezzo scontato. Bei libroni cartonati, carta lucida 30 x 20, con le agili prefazioni di un amico.
Rosco e Sonny sono due simpatici detective newyorkesi, vagamente ispirati a Starsky & Hutch o alle varie coppie di sbirri degli action-movies americani. Le loro storie, uscite sul Giornalino nei primi anni '80 (e, credo, tuttora pubblicate), sono brevi episodi polizieschi di una decina di pagine ciascuno, trame agili e brillanti, con poca violenza e tanta ironia.
“Gli aristocratici” è un po' più vecchiotto (metà anni '70). Protagonista è una banda di ladri-gentiluomini, composta da cinque characters amabilmente stereotipati: il capo è il Conte, arzillo e imperturbabile gentleman britannico con la mania per le citazioni shakespeariane (o presunte tali); poi ci sono o scassinatore-rubacuori italiano Alvaro, il forzuto irlandese Moose, la maliarda Jean e il tedesco Fritz, abilissimo nell'inventare e costruire i più incredibili marchingegni. E poi c'è Michael Allen, giovane ispettore di Scotland Yard che dà la caccia ai cinque: senza metterci troppo impegno, in verità, sia perché ha una simpatia nemmeno tanto nascosta per Jean, sia perché gli Aristocratici hanno la simpatica abitudine di rubare ai ricchi – e cattivi – per donare ai poveri. I loro sono sempre colpi in guanti bianchi, realizzati con l'uso del cervello e senza spargimento di sangue.
Valore aggiunto, il tratto di Ferdinando Tacconi, uno dei miei idoli grafici assoluti, con le sue capricciose, elegantissime curve spezzate e le sue inimitabili campiture di bianchi e di neri pieni.
Due splendidi esempi di fumetto popolare (e uso l'aggettivo senza alcun valore dispregiativo). Altissimo artigianato narrativo e grafico, per il quale ho sempre portato il massimo rispetto.

lunedì 27 dicembre 2010

passione barocca



http://www.youtube.com/watch?v=pcF-ICE_bJ4


Alla sua amante ritrosa

(To His Coy Mistress)


Ad aver tempo a sufficienza, e mondo,
non sarebbe peccato esser ritrosa.
Siederemmo, Signora, a pensar come
traversare il lungo giorno d'amore.
Voi, in India, trovereste lungo il Gange
rubini, mentre io, presso la foce
dell'Humber, gemerei. Da dieci anni
avanti del Diluvio vi amerei,
e, se vi piace, mi rifiutereste
fino alla conversione degli Ebrei.
Crescerebbe il mio amore vegetale,
più vasto degli imperi, e ancor più lento;
e impiegherei cent'anni per lodare
gli occhi, e per ammirar la vostra fronte;
duecento ad adorare ciascun seno,
e trentamila ancora per il resto;
un'era, quantomeno, per le membra
e un'ultima a mostrare il vostro cuore.
Signora, un tale stato meritate,
ed io non vi amerei per minor prezzo.

Ma sento sempre dietro le mie spalle
del Tempo il carro alato farsi presso;
e oltre giace, al di là di tutti noi,
la vastità deserta dell'Eterno.
Lì la vostra bellezza sarà persa
né una tomba marmorea farà eco
alla mia voce: sarà il verme a tendere
insidie alla purezza preservata,
in polvere l'antico vostro onore,
il mio ardore mutato tutto in cenere:
luogo recluso e nobile è il sepolcro,
ma poco adatto, io credo, per gli amplessi.

Ora che gioventù la vostra pelle
veste come rugiada mattutina,
ora che di passione il vostro spirito
trasuda fuochi rapidi a ogni istante,
ora, finché possiamo, dilettiamoci,
ora, amorosi uccelli da rapina,
d'un colpo divoriamo il nostro tempo,
per non languire in lenta consunzione.
Tutta la nostra forza e la dolcezza
raccogliamole in forma di una sfera,
che con un colpo rude lanceremo
sui cancelli di ferro della vita;
se non si può forgiare il nostro sole,
pure saremo noi a farlo girare.

Andrew Marvell (1621-1678)

domenica 26 dicembre 2010

la chiara circostanza


(da qui)

La clamorosa dolcezza delle clavicole, la percussione cessata
dei finimenti muscolari, le valvole
che l’hanno finalmente abbandonata
sulla terra, l’angolo umile che fa la testa
per celare il sorriso
sulla cruda colonna del corpo
dice: ti ho aspettato per tutta la vita
ho visto la tua vita
nei miei sogni e tutta, notte
dopo notte, si risolveva nel perdono. In certe svolte
quando il cielo pieno di meraviglia coincideva
con la bolla degli alberi agitati dalla piena
luna, io mi svegliavo
per causa dei tuoi sogni
e portavo il tuo nome come una bandiera
che saliva dal petto e mi rendeva
invisibile: di me
si vedeva soltanto il tuo nome. Io sapevo
che avremmo dovuto terminare vicini
qualunque cosa nel frattempo fosse stata di noi. Adesso
eccomi, sono qui per finire
nella tua fine, per aspirare l’ultimo respiro
dalla tua bocca
e soffiarlo attraverso la bocca
che dopo te nessuno ha più baciato,
al cielo.

Maria Grazia Calandrone

sabato 25 dicembre 2010

feroce natale


Natale è venuto. Commuovetevi tutti. Mia madre passa con una bracciatella di torroni per le povere camere odorose (ehm) di sonno. L’acqua è gelata nel lavamano. Sui vetri della finestra l’inverno padano ha dipinto fiori bellissimi. Non si vede se non attraverso quelli, che stringono il cuore come certe immagini di banchisa artica. Sta bollendo il cappone di cui mi toccheranno una coscia, il perdello o stomaco, e la testa fino a metà collo. I sottaceti sono di rapa e peperoni verde sbiadito. Per l’occasione sono stato immerso in un mastello e puntigliosamente scrostato di ogni prudenza padana. Affronto il sentimento come in avvenire farò con le ragasse. Non esistono alberi chiamati Tannenbaum. Il presepio occupa l’intero coro della chiesa vecchia, dove io solo riesco a decifrare una lapide importante. E’ un presepio collettivo, al quale confluiamo dopo la Messa Grande. Canto nell’orrido rigor di stagion cruda è nato il buon Gesù nella capanna. E’ un bambolotto di celluloide rosata, d’una commovente laidezza. Il nostro sentimento lo riveste di lane e di sete. Le altre maschere sono di terracotta e non si accordano molto bene. Il nostro senso estetico non si sofferma su queste bassezze. Alla una in punto siamo seduti a tavola. E incominciamo a volerci bene con inesausta ferocia.

(Gianni Brera, da Il principe della zolla, Baldini & Castoldi 1993)

venerdì 24 dicembre 2010

giovedì 23 dicembre 2010

recensioni in pillole 81 - "Rimini"

Pier Vittorio Tondelli, Rimini, Corriere della Sera/I grandi classici italiani, 2003 (279 pp.)

Con i libri succede un po' come con le persone: ci si incontra, ci si piace, non ci si piace. A volte, con il tempo, si cambia idea, altre volte no.
Con Tondelli non ci siamo trovati. Lessi, anni fa, “Pao Pao”, e devo dire che lo trovai interessante, soprattutto dal punto di vista stilistico, ma a lungo andare, ahimé, noioso. Forse per via dei personaggi nei quali non riuscivo proprio a identificarmi, o per l'assenza di (la rinuncia a) una trama precisa e strutturata.
“Rimini” mi aspettava sullo scaffale da qualche anno, senza che trovassi la voglia di leggerlo. Sapevo che era considerato uno dei romanzi più “classici” di Tondelli, il che può essere per alcuni un difetto, ma per me è decisamente un pregio. Comunque, fu all'epoca della pubblicazione (1985) un notevole successo commerciale.
I personaggi del libro hanno in comune il fatto di trovarsi nella luccicante Rimini estiva degli anni Ottanta (1983, per la precisione): un rampante giornalista milanese a caccia di scoop; una donna tedesca in cerca della sorella scomparsa; un sassofonista da night club; uno scrittore omosessuale in fuga da un amore impossibile; due scalcinati cinematografari; il proprietario di una pensioncina di quart'ordine. Storie che si sfiorano senza mai davvero incontrarsi, e che tutte insieme vanno a comporre un caustico ritratto della “città del divertimento” e della sua enorme grottesca onnivora macchina da vacanze.
Tondelli rinuncia allo stile pirotecnico e trascinante di “Pao Pao” in favore di una narrazione più realistica e di una trama costruita con molta cura (una delle storie, ad esempio, si rivela man mano come un vero e proprio giallo).
Insomma, tutto come si deve, senonché, anche stavolta, l'incontro non c'è stato. È rimasta un'opacità di fondo tra me e l'autore, una sorta di pellicola che mi impediva di immergermi nel romanzo e, puntualmente, me ne respingeva. L'ho letto da un palmo di distanza, se mi si passa la metafora.
Un po' mi dispiace; ma, in fondo, così va la vita.

mercoledì 22 dicembre 2010

recensioni in pillole 79 / 80 - Manuele Fior

Manuele Fior, Cinquemila chilometri al secondo, Coconino 2010 (143 pp., € 17)

Manuele Fior (da Arthur Schnitzler), La signonina Else, Coconino 2009 (pag. n. n., € 17,50)

Avevo tanto sentito parlare (bene) di Manuele Fior, che temevo di restarne deluso alla prova dei fatti. E invece no: trentaquattro euri e mezzo spesi bene.
Avevo anche sentito accostare Fior a Gipi, e in fondo qualche somiglianza c'è: ad esempio nella predilezione per un segno scarno e spigoloso (ma compensato, in Fior, da una plasticità più morbida e un maggior calore cromatico, rispetto alla secchezza di Gipi) o nella maniera di trasferire sulla pagina schegge di realtà conservandone i margini taglienti (ma, in Fior, in modo molto meno scopertamente autobiografico rispetto a Gipi).
Insomma, Fior è un artista a sè. È cesenate (ho una certa qual sincronicità con Cesena negli ultimi tempi, per ragioni che qui non vale la pena di spiegare), mio coetaneo (in qualche modo, il fatto di avere coetanei geniali mi fa sentire meglio), vive in Norvegia (e questo, in tutta onestà, non glielo invidio).
In “Cinquemila chilometri al secondo” racconta una storia che poi non è nemmeno una storia, ma piuttosto una serie di fotogrammi che fermano tre personaggi (una donna, due uomini) nell'arco di vent'anni. Parla di viaggi, di infelicità, di disperazione, di cose che avrebbero potuto essere e non sono state.
Ma, soprattutto, ne parla attraverso i colori (il giallo acceso di un'estate passata, l'azzurro freddo del Nord, i toni bruciati dell'Africa, le tinte seppia del sogno, le cromie acide del presente) e attraverso un disegno all'apparenza elementare, ma in realtà straordinariamente evocativo.
“La signorina Else” è, ovviamente, il celebre racconto di Arthur Schnitzler: il monologo interiore di una ragazza perbene nel primo Novecento austroungarico, vittima sacrificale di una società laida e ipocrita. Qui, il segno si fa più sinuoso, le campiture piene, in un esplicito omaggio figurativo alla Secessione viennese, a Klimt, Schiele e Klinger.
Prossima missione: procurarmi “Rosso oltremare”, di cui ho letto un gran bene. E, questa volta, senza paura di delusioni.

martedì 21 dicembre 2010

solstizio d'inverno


Oggi è il giorno più breve, quello in cui il sole è più basso sull'orizzonte. Da domani le giornate ricominceranno ad allungarsi. Per una creatura del Sud come me, è il ritorno alla vita.
E allora mi è venuto in mente questo bellissimo Inno ad Aton, dio del Sole, composto dal faraone Akhenaton verso la metà del XIV secolo a.C.


I
Tu ti ergi glorioso ai bordi del cielo, o vivente Aton!
Tu da cui nacque ogni vita.
Quando brillavi dall'orizzonte a est
riempivi ogni terra della tua bellezza.
Sei bello, grande, scintillante,
viaggi al di sopra delle terre che hai creato,
abbracciandole nei tuoi raggi,
tenendole strette per il tuo amato figlio (Akhenaton).
Anche se sei lontano, i tuoi raggi sono sulla Terra;
anche se riempi gli occhi degli uomini, le tue impronte non si vedono.

II
Quando sprofondi oltre il confine occidentale dei cieli
la terra è oscurata come se fosse arrivata la morte;
allora gli uomini dormono nelle loro stanze,
il capo coperto, incapaci di vedersi tra loro;
vengono loro sottratti i tesori da sotto la testa e non lo sanno.
Ogni leone esce dalla sua tana,
tutti i serpenti emergono e mordono.
Il buio è completo e la terra silenziosa:
Colui che li ha creati riposa nell'orizzonte.

III
La terra si illumina quando sorgi
con il tuo disco scintillante di giorno.
Davanti ai tuoi raggi l'oscurità viene messa in fuga
il popolo delle Due Terre celebra il giorno,
Tu lo svegli e lo metti in piedi,
loro si lavano e si vestono,
Sollevano le braccia lodando il tuo apparire,
poi su tutta la terra cominciano il loro lavoro.

IV
Le bestie brucano tranquille,
gli alberi e le piante verdeggiano,
gli uccelli lasciano i loro nidi
e sollevano le ali lodandoti:
Tutti gli animali saltellano sulle zampe
tutti gli essere alati volano e si posano di nuovo
tornano alla vita quando Tu sorgi.

V
Le navi salpano su e giù per il fiume.
Alla tua venuta si aprono tutte le strade.
Di fronte al tuo volto i pesci saltano nel fiume.
I tuoi raggi raggiungono l'oceano verde.
Tu sei colui che mette il seme maschile nella donna,
Tu sei colui che crea il seme nell'uomo,
Tu sei colui che risveglia il figlio nel ventre della madre,
accarezzandolo perché non pianga.
Anche nell'utero sei la sua balia.
Tu dai respiro a tutta la tua creazione,
aprendo la bocca del neonato e dandogli nutrimento.

VI
Quando il pulcino cinguetta nell'uovo
gli dai il respiro perché possa vivere.
Tu porti il suo corpo a maturazione
in modo che possa rompere il guscio.
E così quando lo rompe corre sulle sue zampette,
annunciando la sua creazione.

VII
Quante sono le tue opere!
Esse sono misteriose agli occhi degli uomini.
O unico, incomparabile Dio onnipotente,
Tu hai creato la terra in solitudine come desidera il tuo cuore,
gli uomini tu hai creato, e le bestie grandi e piccole,
tutto ciò che è sulla terra e tutto ciò che cammina,
tutto ciò che fende l'aria suprema,
Tu hai creato strani paesi, Khor e Kush
e anche la terra d'Egitto,
Tu metti ogni uomo al posto giusto
con cibo e possedimenti e giorni che sono contati.
Gli uomini parlano molte lingue,
sono diversi nel corpo e nella pelle,
perché Tu hai distinto popolo da popolo.

VIII
Negli Inferi Tu fai sì che il Nilo straripi,
conducendolo a tuo piacimento a portare vita agli Egizi.
Anche se Tu sei signore di tutti loro, signore delle loro terre,
ti affatichi per loro, brilli per loro,
di giorno sei il disco solare, grande nella tua maestà,
anche alle terre lontane hai portato la vita,
stabilendo per loro un'inondazione del Nilo nei cieli,
che cade come le onde del mare
bagnando i campi su cui abitano.
Quanto eccelse sono le tue vie, o Signore dell'eternità!
Hai stabilito un Nilo nei cieli per i forestieri.
Per il bestiame che cammina ogni terra,
ma per l'Egitto il Nilo sgorga dall'aldilà.
I tuoi raggi nutrono campi e giardini.
È per Te che vivono.

IX
Tu fai le stagioni per il bene delle tue creature,
l'inverno per rinfrescarle, l'estate perché possano gustare il tuo calore.
Hai creato cieli lontani in cui Tu possa risplendere.
Il tuo disco nella tua solitudine veglia su tutto ciò che hai fatto
apparendo nella sua gloria e brillando vicino e lontano.
Dalla tua unicità dai corpo a milioni di forme
città e villaggi, campi, strade e il fiume.
Tutti gli occhi ti osservano, lucente disco del sole.

X
Non c'è nessuno altro che ti conosca tranne Akhenaton, tuo figlio.
Gli hai dato comprensione dei tuoi intenti.
Lui capisce il tuo potere:
Tutte le creature del mondo sono nelle tue mani,
proprio come Tu le hai fatte.
Con il tuo sorgere, esse vivono.
Con il tuo tramontare, esse muoiono.
Tu stesso sei la durata della vita. Gli uomini vivono attraverso di Te
i loro occhi ricolmi di bellezza fino all'ora del tuo tramonto.
Ogni fatica viene messa da parte quando Tu sprofondi a ovest.

XI
Tu hai stabilito il mondo per tuo figlio,
lui che è nato dal tuo corpo,
Re dell'Alto Egitto e del Basso Egitto,
che vive nella verità, Signore delle Due Terre,
Neferkhepure, Wanre, il Figlio di Re,
che vive nella verità, Signore dei Diademi,
Akhenaton grande nella lunghezza dei suoi giorni.
E per la Nobile Moglie del Re
lei che lui ama,
per la Signora delle Due Terre, Nefernefruate-Nefertiti,
possa lei vivere e fiorire per l'eternità.

lunedì 20 dicembre 2010

recensioni in pillole 78 - "Rex tremendae maiestatis"

Valerio Evangelisti, Rex tremendae maiestatis, Mondadori 2010 (493 pp., € 18,50)

Non sono mai stato un grande appassionato di letteratura di genere, ma i romanzi del ciclo di Eymerich me li sono spolpati tutti con piacere (credo che il primo letto sia stato Mater Terribilis, nel 2003 o 2004 o giù di lì).
Forse sarà per via della singolare mistura di romanzo storico, horror, fantascienza distopica e venature magico-esoteriche che Evangelisti è riuscito a creare. O forse per il fascino sinistro di Eymerich, uno dei vilain più imperiosamente ambigui che io abbia mai conosciuto.
Per chi non lo conoscesse, Nicholas Eymerich fu un personaggio storico, capo dell'Inquisizione nel regno di Aragona alla fine del XIV secolo. Evangelisti lo ha rimodellato come un uomo spietato, intollerante, feroce difensore degli interessi della Chiesa (ma allo stesso tempo dotato di intelligenza penetrante, mente acutissima e lucida, e di una complessità psicologica che finisce per renderlo, paradossalmente, simpatico) e gli ha costruito intorno un intero universo fantastico, che parte dall'accuratissima ricostruzione storica del Medioevo e si allunga in ramificazioni fantascientifiche che investono un futuro più o meno lontano.
Questo decimo romanzo, che Evangelisti ha annunciato come l'ultimo, segue grosso modo lo schema dei precedenti.
Dopo un prologo che stabilisce le basi della vicenda (il ritorno dell'alchimista Ramòn de Tàrrega, arcinemico di Eymerich), l'inquisitore viene mandato in missione (stavolta nella Sicilia contesa tra le casate di Aragona e Angiò e in preda all'anarchia baronale), assiste a fenomeni inquietanti (apparizioni mostruose, allucinazioni collettive, scambi di tempo, luogo e corpo) e finisce per averne ragione (lo scontro finale avviene a Napoli, per la precisione a Castel dell'Ovo).
Come sempre, a questo plot se ne affianca un altro, distinto ma – si scoprirà – ad esso collegato, ambientato nel futuro (una angosciante base lunare dell'anno 3000, dove si sono rifugiati gli ultimi sopravvissuti di un'umanità decimata dalle guerre).
"Rex tremendae maiestatis" riallaccia e porta a conclusione molti dei fili rimasti in sospeso, non ultimi il rapporto di Eymerich con la maga ebrea Maria/Myriam/Lilith e gli scenari apocalittici preannunciati in “Cherudek”.
Se il precedente “La luce di Orione” mi era sembrato un po' fiacco, qui Evangelisti chiude la saga in bellezza, con una trama aggrovigliata, tesa e avvincente.

domenica 19 dicembre 2010

speranza

Su un banco di scuola (classe 3° G)

sabato 18 dicembre 2010

recensioni in pillole 76/77 - "Giètz" / "Tiamottì"

Andrea Campanella / Hannes Pasqualini, Giètz, Tunué 2010 (135 pp., € 12,50)

Aa. Vv. (a cura di Andrea Provinciali), Tiamottì! 11 + 1 canzoni d'amore italiane a fumetti, Arcana 2010 (157 pp., € 16,50)

Ogni tanto (raramente, purtroppo), il fumetto si occupa di musica, e persino di jazz*.

Con "Giètz", Campanella e Pasqualini raccontano qualcosa che, a mia notizia, non era ancora mai stato raccontato nel fumetto.
Il protagonista, Nico, è un trombettista straordinariamente dotato, che conosce il jazz (anzi, il "giètz") quando i soldati americani arrivano nella sua La Spezia. Nico seguirà ciò che il suo talento gli detta, rischierà di perdersi in un ambiente più grande di lui - lui, ragazzo di provincia, nella Roma sfavillante della Dolce Vita e di Cinecittà - e poi, per fortuna, ritroverà la retta via (e finalmente, vivaddio, una storia sul jazz in cui il protagonista non finisce drogato e alcolizzato).
Ma più ancora che la storia (ogni tanto un po' troppo didascalica) o le mezzetinte morbide e nitide di Pasqualini, conta la voglia di far rivivere un periodo grande ed eroico del nostro jazz, troppo spesso dimenticato, insieme ai suoi grandi ed eroici protagonisti (uno per tutti, Piero Umiliani, che nel libro fa da mentore al protagonista).

"Tiamottì" è invece centrato sulla canzone italiana: 11 canzoni d'amore (di Tenco, Paoli, CCCP, Rino Gaetano, De André, Battiato, Marlene Kuntz...) affidate a 11 giovani autori**, che le reinterpretano liberamente in 11 brevi storie (dalle 4 alle 10 pagine).
Con una chicca finale: un Tamburini/Liberatore d'annata (1978), genialmente dissacratorio.
Reinterpretazioni, per fortuna, piuttosto libere, personali, a volte puri spunti narrativi o figurativi che servono per parlare (giustamente) d'altro, a volte persino di tutt'altro.
Non tutte ugualmente riuscite, com'è ovvio. Ma, in fondo, non è quello l'importante.


* Per quanto riguarda il jazz, ne ho scritto qui, qui, qui, qui e qui; e poi c'è anche questo.

** Uno dei quali è un mio amico webbico, che ringrazio per aver segnalato il volume.

venerdì 17 dicembre 2010

il futuro



http://www.youtube.com/watch?v=OYzOzLDIpT4

Non intendo giustificare, voglio capire. C'è un dato inedito nella condizione giovanile ed è la spoliazione del futuro. In Italia i giovani sono la "generazione del lavoro mai", come per i condannati all'ergastolo, per sempre precari.
[...]
Questa è una generazione che ha una repulsione spontanea verso il Potere che ha prodotto l'esecuzione sommaria di Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi. Come se i giovani fossero vuoti a perdere. Ecco, la politica deve dare risposte a questo passaggio d'epoca.

Nichi Vendola, su Repubblica di oggi (l'intervista intera qui)

per scrivere


bisogna sempre tornare alle mani
agli aggettivi dimostrativi
alla temperatura di questo
mattino bisogna arrendersi al caso
(dopo la lotta è chiaro)
alla forma dell'aria agli affioramenti
della verità alla pelle del mondo.

giovedì 16 dicembre 2010

recensioni in pillole 75 - "Kobilek"

Ardengo Soffici, Kobilek, Vallecchi 1966 (141 pp.)

Vatti a ricordare dove e quando ho comprato questo libro. E soprattutto perché, dato che di Soffici sapevo pochissimo: che era toscano, vicino alle avanguardie storiche, animatore di riviste come “La Voce” e “Lacerba”, poi fascista della prim'ora (e anche dell'ultima, visto che non rinnegò mai il regime). Mi pareva di ricordare che fosse stato lui a smarrire il manoscritto dei “Canti Orfici” e che avesse scritto un romanzo, “Lemmonio Boreo”; qualche poesia sua mi era anche piaciucchiata.
Come al solito, l'occhio mi ci è caduto per caso, e senza una particolare ragione ho deciso di leggerlo.
“Kobilek” (prima edizione: 1918) è un diario di guerra, incentrato sulla battaglia della Bainsizza (agosto 1917), alla quale Soffici – interventista, arruolatosi volontario – partecipò come sottufficiale di fanteria, rimediandone anche una ferita.
Nel libro, ci sono tutti gli elementi che poi andranno a confluire nel fascismo: un confuso miscuglio di estetismo, elitismo, populismo, nazionalismo, vitalismo, antisocialismo, condito di invettive contro i barbari germanici e contro l'Italietta dei vecchi politici, incapaci di comprendere i “tempi nuovi”. La guerra è un dovere duro, ma necessario; gli ufficiali sono tutti nobili e coraggiosi; i fanti sono “veri italiani”, umili e buoni, privi della “luce della coscienza” (privilegio del colto intellettuale), ma altresì pronti all'estremo sacrificio, e se necessario vanno al combattimento “come a una festa”; tutti convivono in fraterno cameratismo; la battaglia è uno spettacolo grandioso ed epico; i pacifisti sono imboscati vigliacchi che gettano fango sugli eroici militi al fronte.
Eppure, dovessi fare un bilancio, direi, nonostante tutto, che “Kobilek” mi è piaciuto.
Sarà forse per la lingua svelta, rotonda, sonora, ancora un po' profumata di Ottocento, con qualche vezzo toscaneggiante qua e là.
Ma soprattutto perché, malgrado qualche tirata patriottarda, qualche accentuazione retorica e qualche caduta nel bozzettismo (abbastanza limitate, comunque, va detto), “Kobilek” è tutto sommato un libro onesto. Pur giustificandola, Soffici non nasconde nulla della guerra: la vita nelle trincee, i pidocchi, la fame, il rischio continuo della morte, l'orrore dei cadaveri, la paura dei bombardamenti, lo smarrimento di fronte alla soverchiante brutalità della battaglia, la pietà per i compagni caduti.
Insomma, di letteratura antimilitarista ne ho letta tanta. Una volta tanto, sentire l'altra campana è stato interessante.

mercoledì 15 dicembre 2010

anche in me


"Tutti i governi, tutti i poteri, tutte le forme e espressioni di autorità, tutti gli uomini che governano, che comandano, che condannano, suscitano in me la più profonda avversione."

(Leonardo Sciascia)

martedì 14 dicembre 2010

bravo, lei ha capito tutto



http://www.youtube.com/watch?v=Y04Wp40KIM8

lampi - 93


“Come mai sono ancora lucido?”

lunedì 13 dicembre 2010

weird logic



http://www.youtube.com/watch?v=F2s6LZUdYaU


"Suonerebbe qualcuno dei suoi strani accordi per la classe?"
"Cosa intende con strani? Sono accordi perfettamente logici."

(Thelonious Monk a un insegnante della Columbia University)

domenica 12 dicembre 2010

vuoto (vecchia pagina di diario)


“Ho fatto un casino,” mi dice A. dopo la conferenza, “mi sono lasciata prendere dall'ansia e ho rovinato tutta la presentazione. Che scema che sono”.
Poi mi guarda e fa: “Tu, piuttosto, complimenti: preciso, impeccabile come sempre. Ma non ti emozioni mai? Come fai?”.
Sorrido, non rispondo.

Ciò che non le dico (che non dico mai a nessuno) è la vera natura di quell'aplomb, di quell'imperturbabilità che tanti scambiano per forza e sicurezza
È il distacco, l'atarassia che mi impedisce di sentirmi veramente parte di ciò che mi succede.
È la difesa, la corazza che ho eretto (chissà quando) e che solo pochissime persone - per amore (D.) o per kindredness of souls (G., E.) - riescono a farmi valicare. (Una corazza è segno di forza? Secondo me no).
È quella percezione acuta, che sempre mi accompagna, del Vuoto, del sottile guscio di eventi che riveste il Nulla.

A volte è utile, non lo nego. Serve a evitare il coinvolgimento, a mantenere il controllo in ogni situazione (grace under pressure, come diceva il vecchio Ernest).
Altre volte è una spina nel fianco. Anzi, diciamolo: è la mia spina nel fianco da una vita.
Me lo disse quello psicologo, in terza media: “Tu rimani sempre al di sopra o al di sotto degli avvenimenti, eviti sempre di tuffartici dentro”. (Poi mi chiese che cosa provavo se mi prendeva la mano. Io risposi: “Niente”).
Me lo disse anche G.: “A te di me non importa niente” (perché non le ho risposto? perché non le ho dato, che so, un bacio, un abbraccio?).
Me lo ha detto anche E., che “ispiro soggezione” (perché non le ho detto che lei era forse la persona che è arrivata più vicina di tutte a mandare in pezzi la corazza?).

Continuo a guardare la mia vita, e mi sembra la vita di un estraneo.

sabato 11 dicembre 2010

millenovecentosessantuno


"Qui bisognerebbe sorprendere la gente nel covo dell'inadempienza fiscale, come in America. [...] Bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche; mettere le mani esperte nelle contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e delle piccole aziende; revisionare i catasti. E tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto [...], sarebbe meglio se si mettessero ad annusare intorno alle ville, le automobili fuoriserie, le mogli, le amanti di certi funzionari e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi, e tirarne il giusto senso".

(Leonardo Sciascia, II giorno della civetta, Einaudi 1961).

venerdì 10 dicembre 2010

lampi - 92


Non l'ha mai letto e già lo odia.

giovedì 9 dicembre 2010

lampi - 91


Apre.
Comincia immediatamente a soffrire.
Chiude.

mercoledì 8 dicembre 2010

lampi - 90


Innamorarsi equivale a tornare ogni volta adolescente.

martedì 7 dicembre 2010

lampi - 89


"Ma che fai ancora sveglio?"
"Mi commuovo."

lunedì 6 dicembre 2010

recensioni in pillole 74 - "Charlie Parker"

Carl Woideck, Charlie Parker. Vita e musica, EDT 2009 (308 pp., 20 €)

Mai amato molto le biografie. Ho sempre pensato che di un artista si debba conoscere l'opera, o tutt'al più quel che della vita traspare nell'opera, e che il resto sia voyeurismo fine a se stesso. Rischio tanto più grande quando – come nel caso di Charlie Parker, e di tanti altri jazzisti – la personalità dell'uomo è davvero larger than life, tanto da strabordare e sommergere la figura dell'artista.
Per questo ho provato un gran sollievo nel vedere che la parte strettamente biografica di questo libro – uscito in inglese nel 1996 e tradotto l'anno scorso a cura della Fondazione Siena Jazz – si limita al primo capitolo, una sessantina di pagine nelle quali Woideck traccia un sintetico schizzo della vita di Parker, correggendo molti dettagli errati e, soprattutto, evitando di porre eccessiva enfasi sugli aspetti più frusti e pittoreschi del personaggio (la tossicodipendenza, l'acoolismo, le intemperanze con il cibo e con le donne, gli arresti, i ricoveri, eccetera eccetera eccetera).
Il resto del libro consiste in una dettagliata analisi della sua produzione musicale, partendo dal periodo di apprendistato, negli anni Trenta, e proseguendo con le prime testimonianze registrate della sua musica, con la nascita del bebop, la fama e infine il declino e la morte prematura, a soli trentaquattro anni.
Analisi, va detto, abbastanza tecnica (abbastanza, intendo, da richiedere competenze musicali almeno elementari per essere seguita appieno) e corredata da accurate trascrizioni. Woideck disegna la parabola artistica di Charlie Parker, ne individua tendenze e sviluppi e arriva ad ipotizzare le possibili prosecuzioni di una carriera artistica stroncata fin troppo presto.
A mia notizia, la migliore trattazione complessiva della musica di Parker presente sul mercato, almeno su quello italiano.




http://www.youtube.com/watch?v=4rMiD8UUcd0

domenica 5 dicembre 2010

camminando


Ti raggiunge come un urto la misura
degli spazi. Solo dopo che hai emesso il tuo ultimo
verso lo sai. Remissione è la distanza
la retta tesa dagli occhi al vuoto
finalmente
l'aria sul rovescio dei pensieri.
Possiamo cancellare - per il momento -
i margini lasciare che tutto accada
nel ritmo dei passi nella flessione
di tarso e metatarso. Tutto
verrà scritto - ma non ora.
Ora fa freddo il respiro si condensa
ed è quella l'unica traccia che voglio lasciare.

sabato 4 dicembre 2010

riti di passaggio


Completo la ronda notturna lo scavo
fosforescente
l'inventario di sagome e fruscii
valvole e serrature. Misuro
l'incastro dei fiati
l'oracolo delle membra abbandonate
sulle sabbie irrequiete dei sogni. L'ultima luce
per la scatola fioca il tuo respiro
poi la resa
la caduta a piombo il sale
nero del sonno.

venerdì 3 dicembre 2010

quel che sognano i poeti



http://www.youtube.com/watch?v=6hGUro2cD28

giovedì 2 dicembre 2010

mercoledì 1 dicembre 2010

problema


Saputo che:

- tale Katy Perry, bella manza ammeregana che svolge la professione di cantante, ha appena fatto uscire il video di una canzone intitolata "Fireworks";

- Katy Perry è già autrice di fondamentali capitoli della musica contemporanea quali "California Gurls", "I Kissed a Girl" e "Hot'n'Cold",

- Katy Perry ha dichiarato di essersi ispirata, nello scrivere la canzone, a "Sulla strada" di Jack Kerouac;

l'alunno calcoli il numero di piroette che il povero Kerouac sta attualmente compiendo nella propria tomba.