lunedì 31 ottobre 2011

l'inattendu


http://youtu.be/BCZE0yD6fk8

La musica che suono ora parla dell´inatteso. Oggi tutta la gente del mondo deve imparare come comportarsi di fronte all´inaspettato, negoziando di continuo con ciò che suona familiare, il conservatorismo e le abitudini più castranti tipo "amo questa canzone perché mi ha fatto incontrare mia moglie" o cose del genere. No, no, devi interagire con l´inatteso se incontri qualcuno che non è come te, non è della stessa razza o il tuo vicino di casa ti sembra differente perché parla un´altra lingua. Devi tenere conto dell´inatteso a tutti i livelli della politica, dell´arte, di tutto.

Wayne Shorter (tutta l'intervista qui)

domenica 30 ottobre 2011

no need for words

...just listen and enjoy.


http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=TXAgcaDDy_I

sabato 29 ottobre 2011

che cos'è la poesia? (e di chi è?)


http://www.youtube.com/watch?v=-Oof-3BRK00


www.youtube.com/watch?v=qzuKghRyRic

venerdì 28 ottobre 2011

lavorare stanca


"Prof, ma è un lavoraccio fare i poeti!".

(Martina, II° E, dopo un'ora di spiegazione sulle figure retoriche)

giovedì 27 ottobre 2011

periodo fauve-neoespressionista (ottobre 2011)

"Il mio mare preferito"


"Onde"


"Il mare con le righine nere"


"Ritratto di famiglia con fiocchi di neve"

mercoledì 26 ottobre 2011

pillole dizzyane


http://youtu.be/kOmA8LOw258


Quando lavoro con un musicista giovane, cerco di non limitarlo. Se mi serve un musicista più maturo, vado e me lo prendo. Ma con i giovani, mi piace vederli sbocciare. Per cui non gli metto la briglia. Li aiuto, certo, ma non gli metto la briglia.


La comicità è importante. Quando un artista cerca di prendere il controllo sul proprio pubblico, la strategia migliore è farli ridere, se ci riesce. È la cosa più rilassante del mondo. Ridere rilassa tutti i muscoli del corpo. E quando la gente è rilassata, è più ricettiva ai tuoi input. In certi casi, quando gli proponi delle cose troppo difficili, riescono a seguirti se sono rilassati.


[Mia moglie Lorraine] ha la capacità di contenere al minimo il mio ego. Appena il mio ego dà segno di alzare la testa, nel lavoro o nella vita di tutti i giorni, lei lo rimette al suo posto. Ad Harlem sono piuttosto popolare e quando cammino per strada mi fermano milioni di persone. Un giorno sono tornato a casa e ho detto a Lorraine: "Ehi, mi sono fatto una passeggiata ad Harlem. Accidenti, quelli lì mi adorano. Devi riconoscere che tuo marito ci sa proprio fare con la gente qualunque".
"Bah", ha risposto lei, "è normale, visto che sei un coglione qualunque". E così, con una sola frase, ha chiuso la faccenda. Ha sempre la risposta pronta.


Quando venne ad ascoltarci all'Onyx, Jimmy Dorsey si ubriacò perché non riusciva a credere che una piccola formazione potesse suonare così. E non c'era Charlie Parker. La prima sera si ubriacò. La seconda sera rimase sobrio e mi invitò nella sua suite all'Astor Hotel, all'angolo tra la Quarantanovesima e Broadway, di fronte al Paramount Theater.
"Mi piacerebbe averti nella mia band", mi disse, "se tu non fossi così scuro di pelle".
"Perché, conosci qualche trombettista bianco che suona come me?", gli domandai. "Fai un po' tu".
Lui si mise a ridere.

Dizzy Gillespie, da To be or not to bop. L'autobiografia, minimum fax 2009

martedì 25 ottobre 2011

peace and jazz


http://www.youtube.com/watch?v=o1s5CWbYyao

Era in corso la seconda guerra mondiale e tra i musicisti l'atteggiamento prevalente era: "Ahhh, mi hanno richiamato!". Circolavano storie di ogni tipo. Si sentiva dire che giù al Sud i soldati neri non venivano rispettati. Dovevano passare dall'entrata riservata alle persone "di colore" e compagnia bella: e pensare che andavano a morire per la patria. Una cosa terribile ma purtroppo diffusa. Quando un soldato nero tornava al Nord, in licenza, doveva viaggiare in vagoni o pullman segregati.
Io avevo già in mente cosa fare per evitare di essere richiamato. Non ci volevo andare in guerra, ed essendo sempre in viaggio per lavoro pensavo che non mi avrebbero trovato. E invece mi beccarono. Mentre ero a Pittsburgh con Cab [Calloway], nel 1940, mi arrivò la "cartolina", insieme alla posta intestata alla Cab Calloway Band.
Per essere sincero, io sono sempre stato un pacifista. Non ho mai creduto alla necessità che le persone si ammazzino fra loro. Però, una volta ricevuta la cartolina, fui costretto a tornare a New York. Mi dissero di portare vestiti di ricambio per tre giorni. Ricordate la canzone "Bring Enough Clothes for Three Days"?
Io mi portai dietro la tromba, era quello il mio vestito. E quando mi dissero di spogliarmi io obbedii, ma rimasi con la tromba in mano. Fu così che mi presentai dalllo psichiatra, completamente nudo ma con la tromba in un sacchetto di carta. Per loro doveva essere una cosa abbastanza bizzarra.
Mi dissero: "Lo sai che se vieni arruolato nell'esercito dovrai rimanere qui per tre giorni?".
"Lo so benissimo", risposi. "Per questo mi sono portato la tromba".
Mi fecero un sacco di domande idiote. Mi chiesero se facevo uso di droghe. Io ogni tanto una canna me la fumavo. All'epoca se dichiaravi di fumare erba ti guardavano un po' storto, ma il più delle volte ti prendevano lo stesso. Fratelli, era il periodo del "secondo fronte": prendevano pure gli zoppi.
Poi mi fecero un sacco di domande sull'omosessualità.
"E non ci prendere in giro", dissero.
"Non conosco un solo musicista jazz che sia omosessuale", risposi. "Intendo un vero musicista jazz".*
Altre domande, stavolta sulle mie opinioni riguardo la guerra. "Mh, vediamo, allo stato attuale, in questa fase della mia vita, qui negli Stati Uniti d'America, chi è che mi prende a calci nel culo? L'uomo bianco, ecco chi, è lui che mi pianta il suo piedone nel buco del culo, su nel culo fino al ginocchio!", argomentai. "Voi parlate del nemico. Sostenete che il nemico sono i tedeschi. Ma, sempre allo stato attuale, non ricordo di aver incontrato un solo tedesco in tutta la mia vita. Per cui, se mi mettete in prima linea con un fucile in mano e mi dite di sparare al nemico, è capace che creo un caso di 'fuoco amico', non so se mi spiego". Si guardarono interrogativi tra di loro.**
A quel punto cominciarono a essere più cordiali e mi chiesero se avevo mai suonato all'Ovest, con qualche band della costa occidentale.
"Ma che siete rincoglioniti?", risposi. "Sono un musicista di New York. Suoniamo con le orchestre di New York, noialtri. Parliamo di un livello un po' più alto di musicisti. All'Ovest non ci suonerei manco morto".
Alla fine mi classificarono 4F, riformato, perché ero talmente pazzo da non voler combattere in nessun esercito. E certo che no, soprattutto in quel momento. Che cavolo, stavo appena cominciando a godermi la vita.

Dizzy Gillespie, da To be or not to bop. L'autobiografia, minimum fax 2009, pp. 166-168



* Qui Gillespie bara. Musicisti (e musiciste) jazz gay ce ne sono sempre stati, e ce ne sono ancor oggi. Tanto per dire il caso più eclatante: Billy Strayhorn, il grande pianista e arrangiatore che fu per decenni l'alter-ego di Ellington. Poi, citando a memoria, ci sono anche Cecil Taylor, Fred Hersch, Gary Burton, Patricia Barber, Bessie Smith, Sun Ra (forse), Andy Bey, Carmen McRae, per non parlare di molte cantanti blues, sulle quali circolano voci più o meno fondate.
Ma a Dizzy posso perdonare tutto.

** Qui, invece, ho il fondato sospetto che Dizzy stia attribuendo al sé stesso del 1940 le opinioni che aveva all'epoca in cui l'autobiografia uscì, nel 1979 (dubito che, nell'America segregata dei primi anni Quaranta, a un nero fosse concesso di esprimere liberamente opinioni del genere).

lunedì 24 ottobre 2011

esercizi di immodestia (parliamo un po' di me)

[...] in Pasquandrea, ma sarebbe più preciso dire: nelle stanze di Pasquandrea, non è l’ego dell’autore a dettare le regole, ma una concatenazione di pensieri, situazioni e quelle che si potrebbero definire «ambientazioni». Pasquandrea pratica lo scarto cercando di toccare o quantomeno di avvicinarsi ai limiti delle sue stanze. Ma quei limiti (margini, bordature) provengono dal suo stesso gesto originario che, a sua volta, è un gesto di ritirata e non di avanzamento. Talvolta sembra quasi che ogni stanza possa sdoppiarsi in due ambienti di cui uno potrebbe rimanere una sorta di proprietà privata dell’autore (ma anche questo è un margine) e l’altro invece potrebbe aprirsi all’eventualità di un supplemento e/o alla venuta (intrusione, effrazione) di un ospite. Ma è lo stesso Pasquandrea a disertare di giorno, per sua stessa affermazione, le stanze che abita di notte. Le stanze sono situazioni, accadimenti del nulla e del tutto. Un tutto che si fa cosa sensibile solo se si consegna al nulla, al vuoto che impera. [...]

(leggi tutto l'articolo di Enzo Campi su "La dimora del tempo sospeso")

domenica 23 ottobre 2011

manuale di biologia fantastica


"Lorenzo, devi mangiare, sennò poi diventi piccolo e devi rinascere di nuovo!"

sabato 22 ottobre 2011

reading bolognese


Sabato prossimo, 29 ottobre, dalle 18 alle 20, presso il Bravo Caffè di Bologna (via Mascarella 1, in pieno centro storico) si terrà un reading poetico, durante il quale verrà presentato il volume "Contatti", fresco fresco di stampa per l'editore Smasher, che inaugura una nuova collana intitolata "Ulteriora mirari" (sezione "Tripodi").
Il volume, del quale vedete in alto la copertina, contiene tre plaquette di tre diversi autori, uno dei quali altri non è se non il vostro affezionatissimo blogger.
Il mio contributo ha il giocondo titolo di Parole agli assenti. Si tratta di una quindicina di testi, per la maggior parte composti nell'ultimo anno o giù di lì, e che quindi gli aficionados del blog già conosceranno, per averli letti su queste pagine. Ma ovviamente chi si trovi a passare è più che benvenuto.
L'ingresso è gratuito e gradito.


venerdì 21 ottobre 2011

visioni - 5

Lo spaccone (The Hustler) (1961), di Robert Rossen, con Paul Newman, Jackie Gleason, Piper Laurie, George C. Scott (DVD, domenica 16 ottobre)

Sì, sì, lo so, non mi dite niente: è un classicissimo, un capolavoro, storia del cinema, ma come non l'avevi mai visto e bla bla bla. Ebbene no: confesso, non l'avevo mai visto. E, confessione per confessione, non ho mai visto un sacco di altri classici della storia del cinema. Che ci volete fare.
La storia è notissima. Eddie Felson*, un giovanotto imbattibile al biliardo, campa spennando i "polli" di passaggio nelle piccole sale di provincia. Ma il suo sogno è sfidare e sconfiggere Minnesota Fats, il campione d'America. Ed è sul punto di riuscirci, quando gli cedono i nervi: e perde.
Si riduce quindi a vivacchiare di piccole scommesse, ma conosce Sarah, un'outcast sbandata quanto lui, e se ne innamora. Sembrerebbe l'inizio di una nuova vita, specialmente dopo che un gruppo di teppisti, infuriati per essere stati truffati, gli spezza le dita; senonché Eddie finisce tra le grinfie del cinico Gordon, un giocatore professionista che vorrebbe inculcargli la sua perversa morale: conta solo vincere, contano solo i soldi; il resto, amore compreso, non vale niente.
Eddie dovrà imparare a sue spese che alcune cose non le ripaga nulla, neanche la vittoria, neanche i quattrini.
Che dire? Semplicemente che è un film perfetto. Trama tesa dall'inizio alla fine senza il minimo cedimento, regia (di Robert Rossen, uno di quei magnifici artigiani della Hollywood di una volta, ovviamente vittima del maccartismo) classica e impeccabile, dialoghi memorabili, un bianco e nero da sindrome di Stendhal. E soprattutto un cast di attori in stato di grazia: un Paul Newman di bellezza e bravura quasi imbarazzanti, che in più di un punto ha rischiato di dare brividi erotici persino a me; Piper Laurie nella parte della sfortunata Sarah; George C. Scott un viscidone da antologia; e Jackie Gleason nel ruolo-chiave della sua carriera.
Giusto una nota a margine. Nel 1961, Hollywood produceva un film così: drammatico, disincantato, pieno di personaggi emarginati e sconfitti, privo di un vero lieto fine; un'amara riflessione sul mito del successo. Oggi... lasciamo perdere.
O tempora! O mores!


(*) Com'è noto, Newman riprese il personaggio di Eddie Felson venticinque anni dopo, ne "Il colore dei soldi" (1986), con la regia di Martin Scorsese e, per partner, un Tom Cruise sulla buona strada verso il divismo. Vidi il film secoli fa e purtroppo non ne conservo quasi alcun ricordo. Rimedierò.

giovedì 20 ottobre 2011

lampi - 156


Una vita benthonica. Ormai non chiedo altro.

mercoledì 19 ottobre 2011

gli uomini muoiono, non la poesia


Qualche giorno fa si celebrava il suo novantesimo compleanno, oggi si scrivono articoli alla sua memoria. Eppure, come si fa a dire che Andrea Zanzotto sia morto?
Confesso che, tra i grandi del secolo passato, non è quello a cui mi sentivo più vicino. Ho frequentato poco la sua poesia; meno di quanto di avrei dovuto, forse. Però rubo le parole di un amico, che su facebook lo ricorda così:
Per anni ho avuto la sensazione che lui, da lassù, in modo misterioso e silenzioso contribuisse a far sì che la nostra Italia non scivolasse nel baratro al quale sembra, ogni giorno di più, inevitabilmente destinata. Un po' come se fosse uno di quei quattro uomini che, secondo Borges, stanno salvando il mondo senza saperlo. La poesia, diceva, serve a colmare il vuoto provocato dal dolore del mondo.

Zanzotto era uno che scriveva in dialetto, che difendeva un mondo rurale ormai quasi estinto, ma che sapeva anche scagliarsi, con tutta la durezza di cui un poeta è capace, contro la barbarie leghista.
Vorrei dedicargli i versi di un poeta che amo molto, W. H. Auden, dedicate alla memoria di un altro poeta, W. B. Yeats. La traduzione, indegna, è mia, perciò siate clementi.

“In morte di W. B. Yeats”

Scomparve nel morto dell’inverno:
ghiacciati i corsi d’acqua, gli aeroporti semivuoti,
e la neve sfigurava le pubbliche statue;
il mercurio affondò nella bocca del giorno morente.
Gli strumenti a nostra disposizione confermano
che il giorno della sua morte fu un giorno buio e freddo.

Lontano dalla malattia
correvano i lupi per foreste sempreverdi,
i moli alla moda non tentavano il fiume di campagna;
lingue in lutto
nascosero ai versi la morte del poeta.

Ma per lui fu l’ultimo pomeriggio in se stesso,
pomeriggio di infermiere e di sussurri;
le province del suo corpo in rivolta,
vuote le piazze della mente,
il silenzio invadeva i sobborghi,
la corrente dei sensi venne meno; divenne i suoi ammiratori.

Ora è sparso in centinaia di città
e consegnato interamente ad affetti estranei,
per trovare la felicità in un altro tipo di bosco
ed essere punito in un codice morale straniero.
Le parole di un morto
mutano nelle viscere dei viventi.

Ma nell’importanza e nel chiasso del domani
quando i broker ruggiscono come belve sui pavimenti della Borsa,
e i poveri hanno le sofferenze alle quali sono cortesemente avvezzi,
e ognuno nella cella del suo sé è quasi convinto di essere libero,
poche migliaia penseranno a questo giorno
come si pensa a un giorno in cui si è fatto qualcosa di leggermente insolito.

Gli strumenti a nostra disposizione confermano
che il giorno della sua morte fu un giorno buio e freddo.

martedì 18 ottobre 2011

carla

In quel periodo Carla Bley e Mike Mantler mi chiamarono per partecipare a un paio di sedute d'incisione per il disco Escalator Over the Hill. Un'opera monumentale, su un libretto di Paul Haines, con musiche di Carla, iniziata nel 1968 e terminata nel '72, con la partecipazione di moltissimi musicisti e cantanti, da Linda Ronstadt a Jack Bruce, da John McLaughlin a Don Cherry. Nelle sedute a cui partecipai c'erano, tra gli altri, Dewey Redman, Gato [Barbieri], Jimmy Lyons, Roswell Rudd, Charlie Haden e Paul Motian. Le registrazioni si facevano al Public Theatre, nell'East Village, in Lafayette Street. Carla dirigeva l'orchestra. Era difficilissimo concentrarsi sulla musica perché Carla era veramente bellissima a quei tempi. Aveva più o meno una trentina d'anni, e lunghi capelli biondi. Era alta più di un metro e ottanta e, tanto per renderci la vita difficile, indossava (se così si può dire) una minigonna microscopica che metteva in mostra le sue gambe perfette e lunghissime. Come se non bastasse, aveva una camicetta trasparente, la classica see-through, e non portava reggiseno. Ogni volta che alzava le braccia per dare l'attacco di un pezzo rimanevamo paralizzati dallo spettacolo. Abbiamo fatto parecchie entrate sbagliate prima di abituarci.

Enrico Rava, "Incontri con musicisti straordinari", Feltrinelli 2011, pp. 138-139

lunedì 17 ottobre 2011

celebrità catodica

[A metà anni '80] avevo preso in affitto un appartamento a Torino. La zona era tremenda, proprio dietro la stazione di Porta Nuova. Un quartiere frequentato da spacciatori, malviventi di vario genere, puttane e travestiti, di quelli anziani e con la faccia mal rasata. Il quartiere, che si chiamava San Salvario, non a caso era stato nominato "San Calvario". Piuttosto deprimente. Io però ci stavo bene: era in sintonia con il mio umore di quel periodo [Rava aveva appena divorziato dalla prima moglie Graciela] e poi l'appartamento era molto grande, con i soffitti alti. Una casa di fine Ottocento con i muri spessi. Potevo suonare senza sordina tutto il giorno perché al piano di sopra non c'era mai nessuno. I vicini ogni tanto vedevano la mia foto sul giornale, ma nel complesso non gliene fregava niente. Poi un bel giorno Wanda, la portinaia, esce dal suo gabbiotto insieme a un forte odore di cavoli, mi blocca e comincia: "Complimenti signor Rava!". Due inquilini si fermano e tutti in coro: "Sì, complimenti per ieri sera! Veramente! Siamo fieri che lei viva in questo palazzo!". Il fatto è che non avevo fatto niente la sera prima. Non riuscivo a capire. Poi il mistero venne svelato. In un telequiz Mike Bongiorno aveva chiesto al concorrente: "Che strumento suona il jazzista Enrico Rava?". Non volli indagare se il poveretto avesse o meno indovinato, anche se ne dubito. Di colpo vidi la realtà in tutta la sua tragicità fantozziana: avrei potuto avere un successo enorme al Teatro Regio, anzi alla Scala o alla Carnegie Hall che agli inquilini di via Nizza 27 non si sarebbe smosso un pelo. Venivo menzionato in un telequiz nazional popolare ed eccomi trasformato in eroe.

Enrico Rava, "Incontri con musicisti straordinari", Feltrinelli 2011, pag. 219-220

domenica 16 ottobre 2011

lampi - 155


Ho mica la faccia di uno che piace ai soldi?

sabato 15 ottobre 2011

soglie

Forse un poeta è veramente tale solo se si sa quando arrestarsi, quando cessare l'opera della lima, quando sospendere la proliferazione di varianti; insomma, quando riesce a dire "basta".
Come al momento di lasciare un pranzo, i saluti non sembrano più smettere. Il distacco è difficile, e viene spontaneo cercare di rinviarlo. Si chiacchiera così bene, sulla soglia, che non vorremmo più venire via. Lo stesso con i versi. E' duro dover prendere congedo. Ma l'explicit ci chiama. Serve un dono, un talento: l'ispirazione della conclusione.

Valerio Magrelli (da "Che cos'è la poesia", Sossella 2007)

venerdì 14 ottobre 2011

diplomazia - 2


Il "blindfold test" (letteralmente: test bendato) è un giochino in cui a qualcuno viene fatto ascoltare un brano senza rivelargli nulla circa titolo, anno, interpreti, eccetera. La vittima deve dare un giudizio e, se possibile, cercare di indovinare chi sono i musicisti.
Miles Davis fu sottoposto a questo blindfold test dal critico Leonard Feather nel 1964, per la rivista "Downbeat" (traduco il testo da qui).


1. Les McCann-Jazz Crusaders, All Blues (Pacific Jazz)
Wayne Henderson, trombone; Wilton Felder, sax tenore; Joe Sample, pianoforte; McCann, piano elettrico; Miles Davis, autore del brano.

E che cosa dovrebbe essere questo? Non è niente. Non sanno che farsene del brano: o lo suoni blues, o lo suoni su una scala [modale]. Non si suonano i bemolli. Non l'ho scritto perché ci si suonassero i bemolli: sai, le terze minori. O suoni tutto l'accordo, oppure... ma non cercare di suonarlo come suonassi, ah, Walkin' the Dog. Capisci che cosa intendo?
Quel trombonista: il trombone non deve suonare così. Siamo nel 1964, non nel 1924. Forse se il pianista se la fosse suonata da solo, sarebbe successo qualcosa.
Dargli un voto? E come posso dargli un voto?


2. Clark Terry, Cielito Lindo (da "3 in Jazz", RCA Victor)
Terry, tromba; Hank Jones, pianoforte; Kenny Burrell, chitarra.

Clark Terry, vero? Sai, mi è sempre piaciuto Clark. Però questo è un brutto disco. Ma perché fanno dischi così? Con la chitarra di mezzo, e quel cazzo di pianista. Non ha fatto niente per la sezione ritmica: non hai sentito come s'impappinava? Sarebbero bastati un contrabasso e Terry.
E' questo che manda a puttane la musica, sai. Le case discografiche. Fanno troppi brutti dischi, man.


3. Rod Levitt, Ah! Spain (da "Dynamic Sound Patterns", Riverside)
Levitt, trombone, compositore; John Beal, contrabbasso.

L'idea era carina, ma non hanno saputo farne niente. Comunque, il bassista era bravo.
Che cosa stanno cercando di fare, copiare Gil [Evans]? Non ha quel sapore spagnolo: non si muove. Vanno su per triadi, ma mancano tutti quegli accordi: e non ho mai sentito nessun brano spagnolo dove ci fosse una figura che andava [così].
Questa è roba vecchia, man. Sembra la band del programma di Steve Allen. Dagli qualche stella solo per il bassista.


4. Duke Ellington, Caravan (da "Money Jungle", United Artists).
Ellington, pianoforte; Charlie Mingus, contrabbasso; Max Roach, batteria.

E che dovrei dire di questo? E' ridicolo. Vedi come mandano a puttane la musica? E' un cattivo accoppiamento. Non si adattano l'uno all'altro. Max e Mingus possono suonare insieme, di per sé. Mingus è un diavolo di bassista, e Max è un diavolo di batterista. Ma Duke non può suonare con loro, né loro con Duke.
Ora, come fai a dare qualche stella a una cosa così? Le case discografiche dovrebbero essere prese a calci nel didietro. Qualcuno dovrebbe prendere un po' di cartelli e picchettare le compagnie discografiche.


5. Sonny Rollins, You Are My Lucky Star (da "Our Man in Jazz", RCA Victor).
Don Cherry, tromba; Rollins, sax tenore; Henry Grimes, contrabbasso; Billy Higgins, batteria.

Beh, perché dovevano finire così? Don Cherry mi piace, e Sonny mi piace, e l'idea del brano è carina. Il ritmo è carino. Non mi ha interessato molto l'assolo del bassista. Cinque stelle significa buonissimo? E' solo buono, non di più. Dagliene tre.


6. Stan Getz - Joao Gilberto, Desafinado (da "Getz-Gilberto", Verve)

Getz, sax tenore; Gilberto, voce.

Gilberto e Stan Getz hanno fatto un disco insieme? Stan ha suonato bene. Mi piace Gilberto; non mi fa impazzire la bossa nova fatta da chiunque. Mi piace il samba. E mi piace Stan, perché ha un sacco di pazienza, nel modo in cui suona quelle melodie: c'è gente che non sa tirar fuori niente da un brano, ma lui sì. E ci vuole un sacco di immaginazione, e lui ce l'ha, mentre tanti altri no.
Quanto a Gilberto, potrebbe anche leggere il giornale e suonerebbe bene lo stesso! Gli do cinque stelle.


7. Eric Dolphy, Mary Ann (da "Far Cry", New Jazz).
Booker Little, trumpet; Dolphy, composer, alto saxophone; Jaki Byard, piano.

Questo dev'essere Eric Dolphy: non c'è nessun altro che possa suonare così male! La prossima volta che lo vedo gli pesto un piede. Stampalo. Penso che sia ridicolo. E' un coglione.

(Feather): Su "Downbeat" non si stampano queste parole.

(Davis): Mettici solo che è un shhhhhhhhhhhhhh, e basta! La composizione è brutta. Il pianista la manda a puttane, si mette di mezzo e non si capisce come le cose andrebbero accentate.
E' un brutto disco, e di nuovo è colpa della casa discografica. Non mi è piaciuto il suono del trombettista, non ha fatto niente. Andare veloce va bene se suoni in quel modo, come Freddie Hubbard o Lee Morgan; ma ci devi mettere dentro qualcosa, e la sezione ritmica ti deve star dietro; non puoi solo continuare a suonare crome.
Il pianista fa schifo. Devi pensare, quando suoni; ci si deve aiutare l'un l'altro: non puoi suonare solo per te stesso. Devi suonare con chiunque suoni con te. Se io suonassi con Basie, aiuterei quel che sta facendo: quel feeling particolare.


8. Cecil Taylor, Lena (da "Live at the Café Montmartre", Fantasy).
Jimmy Lyons, alto saxophone; Taylor, piano.

Toglilo! Questa è roba brutta, man. Per prima cosa, sento dei cliché parkeriani. E non ci stanno nemmeno bene. E' questo che piace ai critici? Quei critici dovrebbero smetterla col caffè. Se non c'è niente da ascoltare, farebbero meglio ad ammetterlo. Ma prendere una roba del genere e dire che è buona, perché non c'è niente da ascoltare, è come andare a prendersi una prostituta.

(Feather): Quest'uomo ha detto di essere stato influenzato da Duke Ellington.

(Davis): Non me ne frega un cazzo! Dev'essere Cecil Taylor. Giusto? Non mi interessa da chi è ispirato. Quella roba non è niente. In primo luogo non ha la... sai, il modo in cui si mettono le mani sul pianoforte. Non ha il tocco capace di tirar fuori qualunque cosa pensi di fare.
Posso capire come sia influenzato da Duke, ma mettere il pedale della risonanza sul pianoforte e fare una frase per me è roba vecchia. E quando il sax alto si mette lì e suona senza avere un suono... E' per questo che non compro mai dischi.

giovedì 13 ottobre 2011

diplomazia

[Mingus] aveva un caratteraccio. Ricordo che una volta andai in ufficio alla ABC-Paramount - ero sempre in ufficio, senza dubbio non erano ancora le nove - e sullo schienale della mia poltrona trovai un biglietto attaccato con un coltello, lì, conficcato nella poltrona. Era indirizzato a me da parte di Mingus, e mi comunicava che non era stato pagato per l'ultima seduta di registrazione. Pretendeva di essere saldato il prima possibile. Io, logicamente, non c'entravo nulla. Non potevo fare altro che scrivere un sollecito e presentarlo in amministrazione, e loro gli avrebbero mandato l'assegno. Lì per lì mi spaventai, ma adesso lo trovo divertente.

(Bob Thiele, produttore della casa discografica Impulse)



"Non ve l'ha mai detto nessuno che siete un branco di ipocriti? Mettiamo che un cieco vada a una mostra di Picasso e di [Franz] Kline, e senza poter vedere i quadri, da dietro gli occhiali scuri, commenti: 'Accidenti! Sono i migliori pittori che abbia mai visto!'. Be' voi siete identici. Occhiali scuri e paraorecchi."

(Charles Mingus al pubblico, durente un concerto del 1959 al Five Spot di New York)



(Entrambe le citazioni provengono da Ashley Kahn, The House that Trane built.
La storia della Impulse Records
, Il Saggiatore 2006, pp. 112 e 114)

mercoledì 12 ottobre 2011

elena e le onde


L'opera è un acquerello del secondo stile, nel quale l'artista sembra prediligere forme pseudo-geometriche, dai colori lievi e luminosi. Vi si possono cogliere percepibili memorie di Klee, Rothko, Matisse, De Staël e del primo Kandinskij.
Eseguito il 1° ottobre 2011, intorno alle 20:00, mentre l'autrice bighellonava in cucina in attesa della pappa, è intitolato "Le onde del mare".

martedì 11 ottobre 2011

poesia, paesaggio, lutto


http://www.youtube.com/watch?v=0g_be9Lgcno&feature=relmfu

(Andrea Zanzotto, Pieve di Soligo, 10 ottobre 1921)

"L'attimo fuggente"

"Le front comme un drapeau perdu"

Ancora qui. Lo riconosco. In orbite
di coazione. Gli altri nell'incorposa
increante libertà. Dal monte
che con troppo alte selve m'affronta
tento vedere e vedermi,
mentre allegria irrita di lumi
san Silvestro, sparge laggiù la notte
di ghiotti muschi, di ghiotte correntie.
E. E, puro vento, sola neve, ch'io toccherò tra poco.
Ditemi che ci siete, tendetevi a sorreggermi.
In voi fui, sono, mi avete atteso,
non mai dubbio v'ha offesi.
Sarai, anima e neve,
tu: colei che non sa
oltre l'immacolato tacere.
Ravvia la mia dispersa fronte. Sollevami. E.
E' questo il sospiro che discrimina
che culmina, "l'attimo fuggente".
E' questo il crisma nel cui odore io dico:
sì, mi hai raccolto
su da me stesso e con te entro
nella fonte dell'anno.

(da "IX Egloghe", 1962)

lunedì 10 ottobre 2011

recensioni in (micro-)pillole 131-140 (fumetteria assortita)

Topolino & Atomino, Tesori Disney, n. 11 (contiene: Topolino e la Dimensione Delta, Topolino e Bip Bip alle sorgenti mongole, Topolino e la collana Chirikawa, Topolino e il Bip Bip-15) (Disney, luglio 2011, 273 pp., € 9,90)

Tutte le storie sono di Romano Scarpa, ossia di uno dei geni assoluti del fumetto italiano. E già dovrebbe bastare.
Poi, "Topolino e la Dimensione Delta" è uno dei miti della mia infanzia, "Le sorgenti mongole" è un meraviglioso esempio di fanta-archeologia e "La collana Chirikawa" è un thriller psicologico degno di Hitchcock (e, credetemi, non sto affatto esagerando: forse la più bella storia di Topolino mai prodotta in Italia). Ecco: può bastare?



François Bourgeon, Les compagnons du crépuscule, voll. 1-3 (Le sortilège du Bois des Brumes / Les yeux d'étain de la Ville Glauque / Le dernier chant des Malaterre) (Editions 12bis 2009, pp. 60 + 48 + 142, € 13 + 13 + 21)

Un cavaliere senza volto; una ragazzina in sospetto di stregoneria; uno scudiero pelandrone. Sono i tre protagonisti che, ne "La compagnia del crepuscolo", percorrono una Francia medievale ricostruita con lo scrupolo realistico di un archeologo. Le prime due storie hanno un andamento fantastico, con tanto di folletti e druidi, la terza è un lungo romanzo grafico di amore, morte e violenza.
Testi raffinati, disegni assolutamente spettacolari.







Pratt-Oesterheld, Sgt. Kirk, vol. III: In terra nemica (Rizzoli/Lizard 2011, 175 pp., € 22)

Il western revisionista, vent'anni prima. Un Oesterheld nel pieno della forma tratteggia personaggi indimenticabili, complessi e sfaccettati. Un Pratt alle soglie della maturità disegna un West selvaggio e scabro, con i suoi soliti possenti indiani.






Hugo Pratt, Corto Maltese. Mū (Tascabili Lizard 2000, 176 pp., € 11,80)

Il Pratt più metafisico e scorporato, quello che forse amo di meno; e infatti è, credo, l'unica storia di Corto Maltese che non avevo mai letto per intero.
(Poi, parliamoci chiaro: Hugo è sempre Hugo, eh? Si legge a prescindere).








Barreiro/Zanotto, Barbara. Primo ciclo (001 Edizioni 2011, 176 pp., € 15)

Sì, lo so che un fumetto sudamericano di tema post-apocalittico rischia di suonare già sentito e strasentito, specie per coloro che frequenta(va)no i vari Skorpio, Lanciostory e L'Eternauta (tra i quali non ci sono io). So anche che una terra post-apocalittica in cui tutte le donne sono dei figoni da infarto, beh, non è il massimo della verosimiglianza.
Però all'epoca in cui usciva "Barbara" (nel 1979) il tema non era ancora così usurato. E comunque il fumetto è scritto benissimo, con un sottotesto politico-libertario-antimperialista e persino con qualche risvolto ecologista. E poi Zanotto è il modello, più o meno dichiarato, di decine di disegnatori sudamericani.
Vale la pena.



Baru, L'autoroute du soleil, vol. 1 e 2 (Coconino 2000, pp. 240 + 200, € 16 + 16)

Due amici, in una qualunque periferia francese degli anni Ottanta: Karim è bello e fortunato con le donne, Alexandre è brutto e sfigato. Un giorno Karim va a letto con la donna sbagliata: la moglie del dottor Faurissière, capo di un gruppo di fanatici neonazisti. Per i due, è l'inizio di una scatenata fuga on the road, su e giù per l'Autostrada del Sole (quella francese, ovviamente, quella che va da Parigi a Lione, giù fino a Marsiglia). Ritmo sincopato, disegni che contrappongono il realismo fotografico degli ambienti con la deformazione caricaturale delle anatomie.
Baru è un altro di quelli che mi erano sempre sfuggiti. Faccio ammenda.





Guido Buzzelli, Annalisa il diavolo e le altre (Lizard 2006, 70 pp., € 14,36)

Un puzzolente diavolo travestito da barbone, all'opera su una spiaggia estiva ("Annalisa e il diavolo"). La surreale notte di un disegnatore in crisi e di tre bizzarri intervistatori ("L'intervista"). Una beffarda riflessione sugli automatismi della massa ("Piazza del popolo"). Due demonietti lascivi e pasticcioni alle prese con una prima notte di nozze ("Lo sposalizio"). Un adattamento pirandelliano ("La giara").
Insomma, Buzzelli all'apice della sua vena cinica e grottesca. Che volete di più?




Goscinny/Tabary, Il gran visir Iznogoud (Panini Comics 2011, 144 pp., € 19,90)

A Baghdad, il perfido Iznogoud ha un pensiero fisso: essere "califfo al posto del califfo". Perciò, mette in campo piani diabolici, che regolarmente gli si ritorcono contro. Meccanismo elementare, ma esilarante in mano a uno sceneggiatore come Goscinny (sì, quello di Asterix e Lucky Luke), che lo condisce con infinite gag, tormentoni e calembour.
Comicità pura, senza se e senza ma.






Tuono Pettinato, Garibaldi. Resoconto veritiero delle sue valorose imprese, ad uso delle giovini menti (Rizzoli/Lizard 2010, 119 pp., € 16)

Garibaldi fu ferito, Garibaldi con il poncho e la sciabola, Garibaldi a Caprera, Garibaldi massone, Garibaldi fermato da Cavour sulla via di Roma, "Obbedisco", il Generale, l'Eroe dei due mondi, "O si fa l'Italia o si muore"... Diciamo la verità: 'sto Garibaldi, nella coscienza di un italiano medio, è qualcosa a metà tra l'eroe, il santino e il monumento imbiancato dai piccioni.
Tuono Pettinato (alias Andrea Paggiaro) fa collidere la retorica garibaldina con un approccio ironico e scanzonato: e se Garibaldi fosse, tanto per dire, un idealista un po' tontolone e non sempre adeguato al proprio ruolo?
Libro divertente, con finale a sorpresa (ma neanche tanto: in fondo, diciamocelo, la spedizione dei Mille è un po' la nostra Conquista del West; o no?).



Luca Enoch / Andrea Accardi, Hit Moll. Una ragazza pericolosa, Edizioni BD 2011 (232 pp., € 16)

Corinna deve assistere il padre, immobilizzato a letto per un ictus. E fin qui, niente di strano. Senonché, il paparino è un ex-sicario della mafia, e Corinna deve anche difenderlo dai compari che lo vorrebbero morto, e trovare i soldi per rifarsi una vita all'estero. Per farlo, la ragazza svolge un lavoro un po' particolare: ammazza gente a pagamento, ed è la migliore sulla piazza, efficace e spietata. E questo è solo l'inizio di una storia nerissima, violentissima, senza eroi e senza buoni, e senza lieto fine.
Commissionato dalla Bonelli per la serie "Romanzi a fumetti", è stato poi scartato per via dei contenuti eccessivamente crudi ed espliciti (e capisco anche il perché).
In appendice, un raccontino a fumetti di Luca Enoch sul tema "Le pari opportunità". Anche questo commissionato come fumetto "educativo" per le scuole e poi rifiutato. Forse perché sono dieci paginette che grondano cinismo e humour nero. Sapete com'è, non bisogna impressionare troppo i giovani...

domenica 9 ottobre 2011

recensioni in (micro-)pillole: 118-130

Lo so, da qualche mese il blog viaggia a basso regime: tante citazioni, qualche poesiola, qualche notizia rubata da internet, video pescati su YouTube, un "lampo" ogni tanto. Ringrazio i miei fedelissimi, che continuano a seguirmi, e mi scuso ufficialmente: ma è un periodo pieno di impegni, pensieri, scritture e letture, insomma qualcosa deve pur passare in secondo piano e questa cosa, attualmente, è il blog.
Fra l'altro, mi sono accorto che la mia ultima recensione risale al 13 giugno scorso. Un bel po' di tempo. Anche perché, nel frattempo, ho letto un bel po' di roba. Posso darvene solo un assaggio, sperando che sia abbastanza per invogliarvi. Oggi la prima parte, domani la seconda.


Ippolito Nievo, Le confessioni d'un italiano (Oscar Mondadori 2005, 1216 pp., € 17)

Se Nievo ne avesse scritto solo la prima metà, sarebbe un serio candidato al titolo di più bel romanzo italiano del XIX secolo: per la penetrazione psicologica, l'ironia, l'intelligenza, per lo stile sapientemente antimanzoniano, e non ultimo per una forte carica di sensualità, del tutto eccezionale nel nostro castigatissimo Ottocento. Doti che (in parte) si perdono nella seconda metà, soffocate da un certo tono da feuilleton e da un po' di retorica risorgimentale.
Così com'è, è un (quasi) capolavoro, che va assolutamente riscoperto.





J. K. Rowlings, Harry Potter e la pietra filosofale (Salani 2011, 302 pp., € 9)

Okay, prima di tutto: l'ho trovato al supermercato. La fascetta diceva: nuova edizione riveduta (da Stefano Bartezzaghi). Beh, ci sono rimasti un bel po' di refusi.
Comunque: molto meglio del film che ne è stato tratto (ma ci voleva poco), parecchio peggio di quel che si sente in giro. Interessante l'idea di trasferire maghi e incantesimi nel contesto di un classico college inglese, ma poi il libro manca (o, almeno, nel mio caso ha mancato) quello che dovrebbe essere il suo obiettivo fondamentale: la meraviglia, lo stupore, la suspense. Insomma: la magia.
Grigiastro.




Gianni Rodari, Libri d'oggi per ragazzi d'oggi (Il Melangolo 2000, 70 pp., € 6,20)

I ragazzi d'oggi (l'oggi di allora, ma anche l'oggi di oggi) leggono meno? Ma sarà vero? E, comunque, perché? Di chi è la colpa? Chi è che fa odiare i libri?
Pedagogia d'avanguardia, datata 1967. Altri tempi. Purtroppo.





Francesco Bearzatti Tinissima Quartet, Suite for Malcolm, con le illustrazioni di F. Chiacchio (Luciano Vanni Editore 2011, pagine non num., € 20)

"Suite for Malcolm" di Francesco Bearzatti è stato probabilmente il più bel disco jazz italiano del 2010. Questo lussuoso volume raccoglie le note di copertina, commenti dei musicisti e le splendide illustrazioni (inchiostri su acetato) di Francesco Chiacchio, che dal vivo accompagnano l'esecuzione della suite.





Richard Cook, Blue Note Records. La biografia (minimum fax 2011, 299 pp., € 16,50)

Biografia di un mito. "Blue Note", per un appassionato di jazz, significa un sacco di cose che non posso riassumere qui. Significa soprattutto un insieme di elementi che vanno a comporsi nella leggenda: nomi, personaggi, titoli, musiche, grafica, suono. Richard Cook racconta come quel mito nacque e crebbe.





Gianni Rodari, Prime fiabe e filastrocche (Einaudi Ragazzi 2011, 89 pp., € 9,50)

Letteratura per l'infanzia? Yes, of course. E, a proposito, potremmo per cortesia smetterla di usare quest'espressione in senso (più o meno sottilmente) denigratorio?






Ermann Krumm, Respiro
(Mondadori - Lo Specchio 2005, 130 pp., € 9,40)

L'ultimo libro di Krumm, poeta e critico d'arte, scomparso nel 2008. Scrittura sottile, misurata, preziosa, ricca di pensiero. "Linea lombarda", se qualcuno ha proprio bisogno di formule.






(a cura di) Michel Foucault, Io, Pierre Rivière avendo sgozzato mia madre, mia sorella e mio fratello... Un caso di parricidio nel XIX secolo (Corriere della Sera 2011, € 9,90)

Lo confesso: ho un'insana attrazione per il Grand-Guignol, le psicologie deviate, i casi estremi. Ognuno ne tragga le conclusioni che preferisce.
Qui, Foucault e un gruppo di allievi disseppelliscono dagli archivi il caso di un contadino parricida, nella Francia del 1835. Numerose voci (i giudici, gli avvocati, i medici legali, gli psichiatri, i giornalisti, lo stesso Rivière che scrive un lucidissimo e visionario memoriale del proprio delitto) si intrecciano a formare il ritratto di un uomo e di una società.




Enrico Rava, Incontri con musicisti straordinari. La storia del mio jazz (Feltrinelli 2011, 252 pp., € 16)

Enrico Rava, c'è chi lo idolatra e chi lo detesta. Però una cosa è certa: quest'uomo si è sempre trovato al posto giusto nel momento giusto. La Roma della dolce vita e della prima scena free, la Swingin' London, la New York dei loft, l'Argentina di fine anni Sessanta... Dopo la biografia "Note necessarie" (minimum fax 2004), scritta insieme ad Alberto Riva, qui è lo stesso trombettista a prendere la parola in prima persona, offrendoci uno sguardo dall'interno su quarant'anni di jazz, ricco di verve e ironia.





Walter Cremonte, Respingimenti (Lietocolle 2011, 33 pp., € 10)

Walter Cremonte vive a Perugia, e io non lo conoscevo nemmeno. Mea culpa. Questa brevissima plaquette è una riflessione limpida e ferma su quella fetta di umanità che vorremmo (invano) respingere fuori dal nostro campo visivo.








Valerio Magrelli, Che cos'è la poesia? (Sossella 2007, 30 pp. + cd, € 14)

Devo ammetterlo: a spingermi a comprarlo, è stato soprattutto il sottotitolo, "La poesia raccontata ai ragazzi in ventuno voci". Speravo, in soldoni, che potesse esseremi utile per la scuola.
Ora, non so che "ragazzi" avesse in mente Magrelli, ma i miei, di questo coltissimo abbecedario poetico (da "autore" a"calligramma", da "dramatis persona" a "barbarismo", da "quaesitio" a "paronomasia"), ci capirebbero poco o nulla.
Rimane comunque una lettura intelligente, spesso ironica, non di rado provocatoria, anche se in generale - come del resto tutta la poesia di Magrelli - un po' freddina. Più testa che cuore. Però, basta saperlo.
Al libro è allegato un cd in cui Magrelli legge il testo integrale, dal vivo all'Auditorium di Roma, con brevi stacchetti musicali di Carlo Boccadoro.
(Certo, quattordici euri per trenta pagine di testo e un cd di un'ora, che, praticamente, le riproduce, sono un po' tantini. Non molto poetico, forse, ma va detto.)



Ashley Kahn, The house that Trane built. La storia della Impulse Records (Il saggiatore 2006, 340 pp., € 35)

Per qualunque appassionato di jazz, arancione più nero equivale a "Impulse!". E "Impulse!" equivale a dischi entrati nella leggenda. Uno per tutti? "A Love Supreme" di Coltrane. E se non lo conoscete, compratevelo e basta, io non vi dico altro. (E magari date una spulciata al catalogo Impulse! per rifarvi gli occhi...).
Ashley Kahn ripercorre la storia dell'etichetta in un'ampia retrospettiva, corredata da foto (in bianco e nero), schede monografiche su alcuni dei dischi più importanti e una discografia finale (in cui purtroppo ci sono titoli e brani, ma mancano i musicisti: lacuna non da poco).
Giusto un appunto da nerd, ma neanche tanto: non è che sarebbe il caso di far tradurre i libri sul jazz da gente che conosce il jazz, ed eviti almeno gli errori di traduzione più grossolani? Chiedo troppo? Mi sa di sì, mannaggia.




Eva Cantarella, Passato prossimo. Donne romane da Tacita a Sulpicia, Feltrinelli 2010 (prima ed. 1996) (187 pp., € 7,50)

Eroine, regine, dee, matrone, prostitute, vedove, figlie, donne facili, donne-avvocato, donne-poetesse. Una rassegna di figure che, tra mito e storia, aiutano a fare un po' di luce sulla condizione della donna romana, dall'età arcaica al periodo augusteo. Lettura colta e piacevole.