mercoledì 21 dicembre 2011

recensioni in pillole 150: "L'uva puttanella / Contadini del Sud"

Rocco Scotellaro, L'uva puttanella / Contadini del Sud, Laterza 2009 (295 pp., € 10,50)

Strano parlare di Rocco Scotellaro, quasi sessant'anni dopo la sua morte. Il sindaco dei cafoni, il sindaco-ragazzino, il socialista eretico, il poeta della Lucania rurale. Strano, soprattutto, perché la sua figura sembra ormai dimenticata, come morta e sepolta è ormai la cultura contadina che descrisse.
Di lui, se si legge ancora qualcosa, si leggono le poesie, peraltro poco ristampate (c'è un Oscar Mondadori di una decina d'anni fa, e poi più niente) e ancor meno antologizzate.
"L'uva puttanella" è il romanzo autobiografico a cui Scotellaro lavorò negli ultimi anni di vita e che rimase interrotto dalla morte, nel 1953, ad appena trent'anni. Vi sono trasfuse una serie di esperienze amare: l'arresto per un'accusa (falsa) di concussione, i due mesi di carcere, l'abbandono della politica e del paese natio. Opera incompiuta, frammentaria, scritta in uno stile insieme lirico e asciutto, dove il neorealismo di stampo vittoriniano e pavesiano si innerva di una costante tensione stilistica tra lingua e dialetto.
L'uva "puttanella" del titolo è una varietà dagli acini piccoli, irregolari, poco appetibile e spesso rifiutata; gli acini sono i cafoni lucani, piccoli uomini schiacciati e dimenticati dalla Storia.
"Contadini del Sud" è quanto rimane di una vasta opera che avrebbe dovuto raccogliere le voci dei braccianti meridionali di diverse regioni. Quelle compiute sono sei storie: il contadino anarchico in lotta contro lo stato, quello emigrato e poi rientrato al paese, quello che racconta dei suoi tre matrimoni, quello convertito alla religione evangelica e profeta inascoltato del Vangelo; e poi ragazzino che fa il guardiano di bufale, chiuso nella sua realtà arcaica, ai margini della modernità galoppante, e la contadina che ha studiato e che scrive le lettere per le sue compaesane.
Un mondo di cui abbiamo completamente perso le tracce, ma che in fondo era ancora quello dei nostri padri, dei nostri nonni. Ma davvero la memoria degli uomini è così breve?

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