sabato 2 giugno 2012

in my end is my beginning


I primi anni Settanta rappresentano un crinale decisivo del Novecento poetico italiano. La pubblicazione, nel 1971, di due opere come Satura e Trasumanar e organizzar è il sintomo non solo di una svolta prosastica e antilirica della nostra poesia, ma di più radicale esaurimento delle sue canoniche tensioni all’assoluto: di un momento in cui “il linguaggio poetico sembra voler uscire dalla propria pelle”. 
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"A metà degli anni Settanta diventò chiaro che si stava ricominciando da un grado zero dell’autocoscienza storica (…). Niente più impegno né avanguardia. Cioè niente rapporto dialettico tra poesia e storia, fra evoluzione o mutamento delle forme letterarie e processo storico". 

Posta di fronte alla svolta degli anni Settanta, la maggior parte dei poeti italiani ha risposto sostanzialmente in due modi distinti – ciascuno dei quali responsabile di una varietà di posizioni di poetica e di ricerca stilistica. Non due linee, quindi, e tantomeno due movimenti, ma due diverse reazioni psicologiche al progressivo esaurimento della tradizione postromantica. 

 a) La prima reazione, forte soprattutto negli anni Settanta, è stata di tipo euforico, ed è consistita nel ripristino a diverso titolo del mito della poesia come emergenza emotiva, comunicazione spontanea antecedente a qualsiasi stilizzazione – idea per cui in poesia è sempre possibile, e anzi si deve, ricominciare ogni volta da capo. La lirica in particolare viene qui intesa come bisogno insopprimibile, istinto primario sottratto al divenire storico.  [...] In scena spesso un io narcisista e anarchico, che si denuda e si dà fuoco in pubblico (Alda Merini, Attilio Lolini, Patrizia Cavalli, Dario Bellezza). Nella stessa direzione, ma a un più alto livello di anacronismo, c’è chi ha ricominciato a interpretare l’atto del poetare come valore assoluto, sacerdotale. Riprende forma il disegno di una poesia ad alta voce, priva di inibizioni e immune dall’ironia, che punta dritta all’estasi: tentativo ambizioso di liberarsi dei dubbi e delle autocritiche attraverso un atto di fede nelle ragioni occulte e sciamaniche dell’andare a capo. Un tipo di poesia che rifiuta la vergogna e si colloca dalla parte degli archetipi (Conte, Mussapi, Carifi); che accetta e anzi esibisce un’identità elitaria. Una scrittura che si vuole fuori dalla contingenza, ma che ha saputo fornire, in qualche caso, delle fotografie straordinariamente esatte della società che storicamente l’ha prodotta: penso a Somiglianze di Milo De Angelis, forse il miglior ritratto letterario (non solo poetico) degli anni di piombo. 

 b) La seconda reazione, di tipo disforico, è emersa soprattutto a partire dagli anni Ottanta, e ha contrassegnato a lungo i Novanta. Essa non nega ma al contrario prende atto della frattura intervenuta nella dialettica storica, induce molti poeti ad assumere un atteggiamento ed uno stile ‘postumi’ rispetto alla modernità; a usare la tradizione contro la tradizione, a testimoniare un’angoscia e un lutto. Adoperando metaforicamente il vocabolario della psicanalisi, si potrebbe parlare in questo caso di una specie di nevrosi della fine, incarnata in moduli spesso manieristici, o barocchi, comunque culturalmente sovrassaturi e formalistici, agli antipodi dell’antintellettualismo della posizione precedente. [...] E’ un ambito in cui prevalgono colori freddi, malinconici, spesso senili, anche se vi si sono riconosciuti, magari saltuariamente, non solo poeti effettivamente anziani (Giudici, Sanguineti, Zanzotto, Fortini, Raboni), ma anche generazioni più giovani: Valduga, Held, Nove, Frasca; la corrente neometrica del Gruppo 93; fino forse ad autori di più recente esordio come Italo Testa. 

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 La mia impressione è che mito delle origini e nevrosi della fine insistano ad agire sulla scena letteraria italiana degli anni Zero. Continueranno a farlo, probabilmente, finché non si imporrà un diverso paradigma storico, capace di ripensare la categoria di ‘nuovo’ e ricomporre una efficace, attendibile nozione di progresso nelle arti. Per adesso il quadro delle proposte formali continua ad arricchirsi, ma la dialettica che le alimenta non è sostanzialmente mutata.

(... leggi tutto il contributo di Gianluigi Simonetti su "Le parole e le cose")

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