lunedì 31 dicembre 2012

auguri(o) per il 2013




La poesia non è una conoscenza di se stessi,
 ancor meno l'esperienza di un remoto possibile 
(di quel che in precedenza non era) 
ma la semplice evocazione attraverso le parole 
di possibilità inaccessibili.

G.Bataille

domenica 30 dicembre 2012

scènes de la vie intime d'un bibliomane



Mario Pomilio, "Il quinto evangelio"
Guido Morselli, "Dissipatio H.G."
Anna Banti, "Noi credevamo"
Enzo Striano, "Il resto di niente"
Giovanni Boine, "Plausi e botte"
Enrico Pea, "Moscardino"
Ottiero Ottieri, "La linea gotica"
Paolo Volponi, "Le mosche del capitale"
Giovanni Testori, "Il ponte della Ghisolfa"
Emilio Tadini, "La tempesta"...

... sono lì, sullo scaffale, insieme a tanti altri orfanelli, che da mesi, da anni a volte, mi guardano e mi supplicano di leggerli.
Come faccio a rispondere che non ho tempo, che ho già una dozzina di altre cose cominciate, sbocconcellate, rimandate, da finire, da riprendere? Prometto che sì, al più presto, forse nel 2013, insomma appena potrò, appena avrò un attimo, un po' di respiro.
Poi alzo lo sguardo: la libreria intera bisbiglia, sussurra, blandisce, a volte minaccia. Chi accontenterò per primo?, mi chiedo, con l'animo di un sultano in mezzo all'harem.

venerdì 28 dicembre 2012

dice: sono i musulmani, quelli arretrati



Come se io nemmeno esistessi
mi è passata accanto,
senza uno sguardo, regina di Saba.
Ho detto: Aisha, prendi, è tutto per te.

Ecco, perle e gioielli,
e anche l'oro attorno al tuo collo.
I frutti, ben maturi dal gusto di miele,
la mia vita, Aisha, se mi ami.

Andrò dove ci porta il tuo soffio,
nel paese d'avorio e d'ebano.
Cancellerò le tue lacrime e le tue pene,
niente è troppo bello per una simile bellezza.

Aisha, Aisha, ascoltami
Aisha, Aisha, non andartene
Aisha, Aisha, guardami
Aisha, Aisha, rispondimi.

Dirò le parole dei poemi,
suonerò le musiche del cielo,
prenderò i raggi del sole
per rischiarare i tuoi occhi di regina.

Aisha, Aisha, ascoltami
Aisha, Aisha, non andartene.

Lei ha detto: Tieniti i tuoi tesori,
io valgo ben più di tutto ciò.
Le sbarre sono sbarre, anche se d'oro,
io voglio gli stessi tuoi diritti
e il rispetto tutti i giorni.
Io non voglio che l'amore.

Ti voglio, Aisha, morirei per te,
sei la padrona della mia vita e del mio amore
Sei i miei anni e la mia vita,
spero di vivere con te, solo con te.

(Jean-Jacques Goldman / Khaled, 1996)

giovedì 27 dicembre 2012

das Ding an sich




Misura ciò che è misurabile, e rendi misurabile ciò che non lo è.
(Galileo Galilei)


Se proprio vuoi saperlo sì
è necessario sapere quante volte abbia rimbalzato
ciascuna estremità della matita
il nome esatto di ognuno dei muscoli
prima di contrarlo
e la temperatura ideale per la pastella
è necessario conoscere tutte le scale e le quantità
altrimenti il pensiero diventa irredimibile

(non fosse poi per il gesto che sarebbe andato perso
non fosse per la verticale degli occhi e la tensione
dei seni contro il golf azzurro non fosse per l'angolo
irriducibile dei talloni)

mercoledì 26 dicembre 2012

lo zio


Stavolta, l'autrice è la mia nipotina Claudia, cinque anni, l'artista di famiglia. Il modello, ovviamente, sono io.

(E il titolo, per chi non l'avesse capito, viene da qui).

sabato 22 dicembre 2012

giovedì 20 dicembre 2012

logica



- Guarda, papà, ho disegnato la Jessica.
- E perché ha i capelli tutti su?
- Perché si è appena svegliata e ancora non si è pettinata.
- E questa dietro?
- È la sua casa.
- Ma pende tutta da una parte!
- No, perché per finta c'era il terremoto!
- E allora la Jessica deve scappare.
- No, perché la casa sta cadendo dall'altra parte, vedi?

mercoledì 19 dicembre 2012

moi est un autre



Nel sogno, mia moglie, i miei figli, i miei genitori, i miei amici, tutti mi sembravano degli estranei.
Sensazione di crescente sgomento, finché guardandomi allo specchio capivo. Loro erano sempre loro: l'estraneo ero io.

martedì 18 dicembre 2012

lampi - 193


Un padre dev'essere odioso, per poterlo poi uccidere.
Un padre buono è il tuo peggior nemico.

("Se incontri il Buddha, uccidilo").

lunedì 17 dicembre 2012

it's beginning to look like Xmas


 
"Papà, questi disegni li sto preparando per Natale, però voglio che siano un segreto. Non li deve vedere nessuno, tranne tu, che puoi".
(Elena, 5 anni, esperta di congiuntivi e di consecutio temporum)

domenica 16 dicembre 2012

di questi tempi



Quello che voglio dire
è che davvero si vorrebbe pronunciare una parola buona
da che mondo è mondo bisogna rendersi abitabili
lo facesti tu quando dicevi “pregare”
e scattavi una foto solo perché il verde del prato
aggiungeva all'universo una particola di gioia. Però
per quanti sforzi si facciano più di tanto
non si regge. Il cuore ad esempio non è affatto rosso
è fibra muscolare dall'aspetto sieroso
è roba dura da masticare.

sabato 15 dicembre 2012

sono nato nell'epoca sbagliata


Questa roba meravigliosa è datata 1972.
Sono passati quarant'anni e qualcosa, nella cultura italiana, è morto. Ma che cosa? E di chi è la colpa?

venerdì 14 dicembre 2012

sentenza



le poesie di quest'uomo non servono a niente
innanzi tutto
ne strofinai una sulla pelata.
inutilmente. non favorì la ricrescita dei capelli.
dopo
ne passai una sui miei foruncoli. questi
nel giro di due giorni acquistarono la grandezza di patate medie.
i medici sbalordirono.
dopo
ne cucinai due in padella.
un po' scettico, non ne mangiai io stesso.
ne morì il mio cane.
dopo
ne utilizzai una come preservativo.
pagai l'aborto.
dopo
ne appiccicai una sull'occhio
ed entrai in un club elegante
il portiere
mi fece uno sgambetto e caddi.
dopo
pronunciai la suddetta sentenza.

Ernst Jandl (1925-2000)

giovedì 13 dicembre 2012

lampi - 192


"Bruciare subito per non spegnersi lentamente".
E poi ritrovarsi, a cinquant'anni, leggermente abbrustoliti.

mercoledì 12 dicembre 2012

Hoffmanstahl: una traslazione sanseverese



A volte mi chiedo quale parte di me partorisca idee così folli: tradurre Hoffmanstahl in dialetto sanseverese.
Però, a ben guardare, tout se tient. Il mio interesse per certi poeti anglosassoni (Seamus Heaney, Ted Hughes, Philip Larkin, Robinson Jeffers); la mia repulsione per Petrarca, il poeta del ripegamento sull'Io, e il mio amore per Dante, il poeta dell'estensione verso il Mondo; il mio imbarazzo per quel tono melodioso che sento in certe mie poesie giovanili, come quelle che ho pubblicato nei giorni scorsi. Alla base di tutto, c'è un fastidio verso l'italiano, questa lingua molliccia, untuosa, iperurania, trasudante retorica, fetente di letteratura. Il mio desiderio di una lingua più dura, puntuta, che faccia attrito sulle cose.
Forse proprio il testo di Hoffmanstahl, così lirico e astratto, mi ha fatto nascere il desiderio di traslarlo in un dialetto, come il mio, che di termini astratti non ne possiede, che ti costringe a strofinarti contro il lato più ruvido delle parole. È stata una fatica, perché io il dialetto non lo parlo, o lo parlo male, e comunque l'ho imparato tardi e lo sento come una seconda lingua. Per dire, mi viene molto più facile parlare inglese che non sanseverese.
Quanto al risultato, giudicate voi.

(Qui c'è il testo tedesco originale, qui una traduzione più o meno letterale in italiano; quella che trovate in calce è la traduzione letterale del testo in dialetto).

* * *

I criature tenne l'occhie funne,
ce fanne rosse, mòrene de sùbbete
e nisciune ce vote p'i spià.

E i trigne iàrie ièscene a peróne
i truve nderre accum'e taragnóle
'n fa a ttembe a cògghierle e so' mbracedète.

E mméne sembe vòrie, e p'i pendùne
scagnème parlamende, e tutt'i iurne
ce sendìme a priezze e a ppecundrìe.

Ce ne ième perdenne mmez'a ièreve,
mmez'a fanóie, àreve, pandène,
sicche e llascùrete accum'e cambesande.

Tutte cose so' sfalle, e tande e tande
ca n'i rrive a cundà. E rire, e chiagne
e pu te sckande, e manghe sa u pecché.

E pu? Quèl'iè u uandagge? U fuja-fuje
ce lasse sckitte cchiù vecchie e cchiù sule
a ggereià senza truà na rèqueie.

Che te ne vè, de tutta sta sperienze?
Ca iè ggià 'ssà se rrive a dice “iè notte”
e ce sinde iumà nu priatorie

pesande accum'e méle da nu cupe.


da Hugo von Hofmannsthal, Ballade des äußeren Lebens


I bambini hanno occhi profondi, / crescono, e all'improvviso muoiono / e nessuno si volta a guardarli. // I prugnoli aspri diventano susine / li trovi per terra come allodole / non hai il tempo di raccoglierli, che marciscono. // E soffia sempre la tramontana, e ai cantoni / discorriamo, e tutti i giorni / sentiamo l'allegria e la tristezza. // Ci perdiamo per l'erba / per fuochi, alberi, stagni / rinsecchiti e bui come cimiteri. // Tutte le cose sono invano, così numerose / che non arrivi a contarle. E ridi, e piangi / e poi ti spaventi, e non sai nemmeno il perché. // E poi? Che cosa ne ricavi? Questo rincorrersi / ci lascia soltanto più vecchi e più soli / a girovagare senza trovare riposo. // Che cosa te ne viene, da tutta quest'esperienza? / Perché è già tanto se arrivi a dire “è notte” / e senti trasudarne una sofferenza // come miele pesante da un favo.

martedì 11 dicembre 2012

ballata della vita esteriore



E crescono fanciulli con occhi profondi ,
nulla sapendo, crescono e poi muoiono
e gli uomini proseguono la strada.

E dolci frutti nascono dagli acerbi
e cadono nella notte come uccelli
e in brevi giorni giacciono e marciscono.

E sempre soffia il vento, e sempre
torniamo a dire e ad ascoltare parole
e a provare il piacere e la stanchezza.

E strade corrono nell'erba, e luoghi,
qua e là, pieni fiaccole, alberi, stagni,
o sinistri, o stecchiti nella morte...

Perché le cose esistono? E perché
mai l'una all'altra uguale? E innumerevoli?
E perché il pianto, il riso, ed il pallore?

Tutto ciò a chi giova? E questo gioco
è per noi, adulti, eternamente soli,
vagabondi mai in cerca di una meta?

Che giova, l'aver visto così tanto?
Ed è già molto poter dire “sera”,
farne scorrere tristezza dal profondo,

come miele pesante da un favo.

Hugo von Hofmannsthal (traduzione mia; qui l'originale)


lunedì 10 dicembre 2012

ignominiosamente






Muore ignominiosamente la repubblica.
Ignominiosamente la spiano
i suoi molti bastardi nei suoi ultimi tormenti.
Arrotano ignominiosamente il becco i corvi nella stanza accanto.
Ignominiosamente si azzuffano i suoi orfani,
si sbranano ignominiosamente tra di loro i suoi sciacalli.
Tutto accade ignominiosamente, tutto
meno la morte medesima - cerco di farmi intendere
dinanzi a non so che tribunale di che sognata equità.
E l'udienza è tolta.

Mario Luzi (1978)

domenica 9 dicembre 2012

non ci vedi niente




questo è il gatto con gli stivali, questa è la pace di Barcellona
fra Carlo V e Clemente VII, è la locomotiva, è il pesco
fiorito, è il cavalluccio marino: ma se volti pagina, Alessandro,
ci vedi il denaro:
questi sono i satelliti di Giove, questa è l’autostrada
del Sole, è la lavagna quadrettata, è il primo volume dei Poetae
Latini Aevi Carolini, sono le scarpe, sono le bugie, è la scuola di Atene, è il burro,
è una cartolina che mi è arrivata oggi dalla Finlandia, è il muscolo massetere,
è il parto: ma se volti foglio, Alessandro, ci vedi
il denaro:
e questo è il denaro,
e questi sono i generali con le loro mitragliatrici, e sono i cimiteri
con le loro tombe, e sono le casse di risparmio con le loro cassette
di sicurezza, e sono i libri di storia con le loro storie:
ma se volti il foglio, Alessandro, non ci vedi niente

Edoardo Sanguineti (da "Purgatorio de l'Inferno", 10)

venerdì 7 dicembre 2012

all'inferno, può darsi


Una volta chiesero a Thelonious Monk dove stesse andando il jazz. E lui, che matto era matto, ma scemo no, rispose: "Non lo so. Può darsi che vada dritto all'inferno. Non si può fare andare qualcosa da qualche parte. Semplicemente accade".
Ripensavo alle parole di Monk, guardando quattro antologie di poesia italiana contemporanea, che stanno da un po' sulla mia scrivania.
Le antologie mi attraggono e mi repellono, allo stesso tempo. Mi attraggono perché cercano di far ordine nel caos, tanto più in un caos turbolento, pulviscolare, browniano, com'è quello della poesia recente e recentissima. Mi repellono per lo stesso motivo: perché sono costrette, inevitabilmente, a tagliare con l'accetta, a cercare per forza un ordine dove l'ordine non c'è, né può esserci.

La generazione entrante raccoglie, ad opera di Matteo Fantuzzi, quindici poeti, introdotti da altrettanti prefatori. Il criterio è esplicitato nel sottotitolo: “Poeti nati negli anni Ottanta”. Nella postfazione, l'editore Giuliano Ladolfi azzarda un'identità collettiva: questa generazione non ha più padri, è venuta meno la spinta collettiva, non esistono più poesie generazionali, ogni opera vive per sé. I poeti sono Dina Basso, Marco Bini, Carlo Carabba, Giuseppe Caracchia, Tommaso Di Dio, Francesco Iannone, Domenico Ingenito, Franca Mancinelli, Lorenzo Mari, Davide Nota, Anna Ruotolo, Giulia Rusconi, Sarah Tardino, Francesco Terzago e Matteo Zattoni, ognuno rappresentato con una breve scelta di testi recenziori.


Poeti degli anni Zero. Gli esordienti del primo decennio, a cura di Vincenzo Ostuni, sceglie, invece del criterio generazionale, quello dell'esordio editoriale. I tredici poeti scelti sono nati fra il 1964 e il 1978, ma hanno pubblicato la loro opera prima fra il 2000 e il 2010 : si tratta di Gian Maria Annovi, Elisa Biagini, Gherardo Bortolotti, Maria Grazia Calandrone, Giovanna Frene, Marco Giovenale, Andrea Inglese, Giulio Marzaioli, Laura Pugno, Lidia Riviello, Massimo Sannelli, Sara Ventroni, Michele Zaffarano. Il curatore definisce questi poeti una “famiglia allargata”, cercando di delinearne i tratti comuni: il “lirismo astratto, asoggettivo o collettivo, lontano da ogni tirannide epistemica ed espressiva dell'autore reale, […] l'aprirsi alle infuenze internazionali molto più che la generazione precedente; la fiducia profonda nel loro mezzo, attraverso cui sanno di poter esprimere in maniera complessa e convincente i conflitti fondamentali dei nostri tempi”.

Il Decimo quaderno italiano, curato da di Franco Buffoni, rinuncia a criteri cronologici precisi, limitandosi a parlare di “giovani autori”, e ne limita il numero a sette: Corrado Benigni, Andrea Breda Minello, Francesca Matteoni, Luigi Nacci, Gilda Policastro, Laura Pugno, Italo Testa. Di ognuno, presenta una breve silloge completa.






Infine, i dodici Nuovi poeti italiani, scelti da Giovanna Rosadini, sono tutte donne: Alida Airaghi, Daniela Attanasio, Antonella Bukovaz, Maria Grazia Calandrone, Chandra Livia Candiani, Gabriela Fantato, Giovanna Frene, Isabella Leardini, Laura Liberale, Franca Mancinelli, Laura Pugno, Rossella Tempesta. “Voci emergenti di grande interesse e di sicuro valore”, le definisce la fascetta sul retro di copertina; anche se “emergenti” è un termine relativo, perché le date di nascita spaziano dal 1947 di Daniela Attanasio al 1981 di Franca Mancinelli.




Quasi tutti i nomi presenti sulle quattro antologie, tranne due o tre, sono diversi, e questo già la dice lunga: sulla ricchezza della poesia italiana contemporanea, ma anche sulla sua eterogeneità.
Da un po' di tempo, le sfoglio e le risfoglio: qualche volta leggo qualche sezione da capo a fondo, altre volte apro a caso e mi concentro su quel che mi capita sott'occhio. Alcune cose mi piacciono, altre no; alcune mi lasciano indifferente, di altre fatico a cogliere il senso e la necessità; alcune sono davvero belle.
C'è anche da dire che io, personalmente, dopo un paio d'anni in cui ho scritto con una certa frequenza e intensità, mi sto prendendo una pausa dalla poesia. Pausa gradita e benvenuta, sia ben chiaro.
Però, davanti a queste poesie, non posso fare a meno di pormi la stessa domanda di Monk: ma perché la poesia deve andare per forza da qualche parte? Veramente la teleologia le aggiungerebbe qualcosa?
E non posso che rispondere con un grande, convintissimo: “Mah...”.

* * *

(a cura di) Matteo Fantuzzi, La generazione entrante. Poeti nati negli Anni Ottanta, Giuliano Ladolfi Editore 2012 (170 pp., € 12)

(a cura di) Vincenzo Ostuni, Poeti degli anni Zero. Gli esordienti del primo decennio, Ponte Sisto 2011 (350 pp., € 18)

(a cura di) Franco Buffoni, Poesia contemporanea. Decimo quaderno italiano, Marcos y Marcos 2010 (280 pp., € 18)

(a cura di) Giovanna Rosadini, Nuovi poeti italiani 6, Einaudi 2012 (302 pp., € 16)

giovedì 6 dicembre 2012

altro che "Take Five"...



Forse fu nel 2003, o nel 2004, insomma giù di lì. Un critichino musicale in erba, vestito con un'improbabile giacca di velluto verde a coste, si presenta in un lussuoso albergo romano per intervistare una leggenda.
Il critichino ero io, la leggenda Dave Brubeck. Io emozionatissimo, lui gentile e disponibile. E anche molto consapevole del proprio valore: si vantò di essere stato uno dei modelli dichiarati di Cecil Taylor (verissimo, fra l'altro).
La moglie Iola, per cinquant'anni suo manager e braccio destro, non lo perse d'occhio un attimo durante tutta l'intervista.

Oggi, 6 dicembre 2012, Dave Brubeck avrebbe compiuto novantadue anni; se n'è andato ieri.
La critica, quella seria, l'ha spesso snobbato, ma i critici spesso non capiscono un cazzo; parola di critico. Molti, di suo, sì e no conoscono "Take Five", che fra l'altro non ha nemmeno scritto lui.
Ascoltate questa meraviglia, e poi mi dite.




mercoledì 5 dicembre 2012

reperti - quinta (e ultima) parte



Dedicate a mia moglie; senza data, ma presumibilmente 2001 circa.
Per inciso, proprio oggi cade il nostro quattordicesimo anniversario.

* * *

Pomeriggio nel caldo confidente
del tuo corpo, penombra e lucore
a sciami sulla pelle, nel tuo grembo
un cavo di buio e tepore.
Notte vegliata
al lume verdebruno dei tuoi occhi.
Chiaro d'alba
sulla tua carne aperta alla mia carne.

Luce rifusa nel folto dei pini
sui nostri nudi esposti dal mattino.

* * *

Di te è rimasto un golfo di tepore
fra le lenzuola – e nel tuo odore dormo
un sonno di semente. Come un digiuno
ti ho nelle viscere – ti cerco, freddo
e nudo come un vagito. Sei il dolore
di una finestra accesa nella notte.

* * *

“Svelati i segreti del genoma umano”
(La Repubblica, 12 febbraio 2001)

Siamo leggibili: anzi, testi
elementari, rozzi tetragrammi,
generazioni di sintassi chimiche. Un refuso
e sarei nato rana o fitoplancton
o Arbutus unedovulgariter corbezzolo.
I borborigmi del mio crasso o l'unghia
incarnita dell'alluce destro hanno anch'essi
una elegante e logica grammatica.

Ma lo sapevo già: quando leggevo
il cufico dei rami contro il cielo
d'inverno, l'interiezione
dei tuoi occhi spalancati. Ora potrò
decifrare ogni più lieve sfumatura
dei tuoi capezzoli – e quando li bacio
porgere nuova attenzione alle virgole, ai segni
diacritici del nostro amore.

* * *

Domare i miei occhi, le mani
scoccate al richiamo di te,
per i tuoi seni bianchi come mandorle?

Soffice di terra
nelle tue ascelle e fiato di campagna
il giovane maggio del tuo grembo

e nel ventre la piega degli ulivi
schianto di sete e di gioia.

martedì 4 dicembre 2012

reperti - quarta parte



Qui siamo intorno al 1999-2000. Turn of the century, e si sente.

* * *

ANNI NOVANTA

Meglio il buio che questa acquiescenza
al bene come al male, quest'aria di festa
finita, di perdono e di cicuta.

(Ristagno combustione dissolvenza
di Lete e di catodi. Il dolore,
anche il dolore è un inganno).

Come vegliare, come
tacere, nel sonno e nel frastuono,

come salvare lo sguardo da questa
oscena allegria di sonnambuli?

* * *

E-MAIL

Il tuo volto nel buio si fa azzurro
e bianco, si accendono a un click
luci di ghiaccio e silicio, le parole
vi danzano fredde come stelle.

Ma così sia: non tracce sgorbiature
sviste di una mente che si inganna,
ma la la tua voce fatta luce, il lampo
che mi riporta a te, silenzio viaggio

fulmineo d'atomi e di amore.

* * *

LEGGENDO MONTALE

Tra di noi non vive nessun dio,
non camminano angeli, non scendono
ad annunciare gaudio o apocalissi.

Folgoreggiando cala da nord-ovest
il volo Linate-Falconara e a soprassalti
mi destano fragori di autoradio.

* * *

Gli uccelli tracciano rette diagonali
di terrazzo in terrazzo, rinsaldano con voli
e richiami lo spazio inabitato
tra comignoli e abbaini. Hanno sentieri che ritagliano
reticolati obliqui sulle nostre
viabilità. Sanno la vita silenziosa
delle imposte in rovina, i sottotetti e le connessure
fra tegola e tegola. Ci sfiorano
senza vederci e tornano al crinale
vertiginoso delle gru ferme, alle loro
città inclinate fra terrazzi e balconi.
Ci lasciano escrementi piume nidi
abbandonati – il vuoto sulle scapole
e la terra inchiodata alle gambe.

* * *

Cammino tra la folla
nel giorno ventoso (settembre,
ultimi scampoli d'estate,
tendenza alla bassa pressione) con in mano
il giornale della sera, che mi informa
sul numero esatto dei decessi in autostrada
e sullo stato della guerra nel mondo.
Il dolore e la gioia sotto il sole,
sotto lo stesso cielo i miei passi nell'aria già fredda
e le lingue di tutto il mondo che si ingolfano
in un grido inudibile. Il vuoto,
altissimo e morto nel silenzio degli astri.
Ci è negato l'Empireo e ci resta
Perugia in un giorno di estate stremata,
mentre cammino e con un piede stermino
una file di formiche
e il dolore del mondo mi trapassa dal petto alle vertebre.

lunedì 3 dicembre 2012

reperti - terza parte



Queste sono datate 1998.
Che all'epoca ascoltassi Suzanne Vega, suona come una sorpresa persino per me.

* * *


È primavera, è tempo che il ricordo
si faccia attesa, la memoria azzurra
e fresca di futuro.

Il vento spiuma il verde nei cortili
e sveglia i desideri come gatti.

A un guizzo di rondini nel traffico
si balza come a un monito.


* * *

È sera. Il cielo è bianco, il vento freddo
e inospitale come un letto vuoto.
Non ho sogni né ferite, sono terso
come l'acqua che ha allagato il davanzale,
immobile nel giorno che si intorbida
come una cosa quieta e minerale.


* * *

With my arms around my knees
I am perfectly round.
(Suzanne Vega, Small Blue Thing)


Il suo corpo è forte e solido: le punte
dei seni fiere e ritte, le mani salde
attorno alle ginocchia; sente il fresco
della terra sotto i piedi nudi
e il calore del grembo. È un cerchio
perfetto, una splendida sfera di carne
e d'anima; il mondo la circonda
come un ciottolo lo scorrere di un fiume.

domenica 2 dicembre 2012

reperti - seconda parte (due poesie dialettali)


  

Anche qui, dovremmo essere intorno al 1997.

* * *

Sta vocca ca t'addora
ccum'a na vermecòcca,
sta pella fina fina accum'i prèzzeche

e st'òcchie d'u culore
d'u rène ca n'iè gialle
ancora, i uange da magnarce a mòcceche:

bella uagliò, ccum'a na portaiàlle
ji te cugghiesse, e mmocca quella vocca
ji me mmuccasse

e ccum'a nu cummitte te sucasse.


Questa bocca che ti profuma / come un'albicocca, / questa pelle delicata come le pesche // e questi occhi del colore / del grano che ancora / non è giallo, le guance da mangiare a morsi: // bella, come un arancia / ti coglierei, e in bocca quella bocca / mi imboccherei // e come un confetto ti succhierei.

* * *

D'a luce d'a matina me so nghiute
a vocca, e mo ch'è sera me l'he a gnotte
pe sentì a te ca me rumène nganne
ccume na mènela nd'u pupurète (*)
ccusì ddoce e ccusì tosta pe sott'i dinde

e pe ppecciarte ccum'a na cannéla
dind'a scurìe d'u core ca ce stute.


Della luce del mattino mi sono riempito / la bocca, e adesso che sera dovrò inghiottirla / per sentire te che mi rimani in gola / come una mandorla in un tarallo / così dolce e dura sotto i denti // e per accenderti come una candela / nella penombra del cuore che si spegne.


(*) pupurète = sono taralli dolci (oggi fatti con il cacao, un tempo con il mosto cotto), tradizionalmente preparati per la festa dei Morti.

sabato 1 dicembre 2012

reperti - prima parte



A tutti è capitato di guardare una propria fotografia di (ics) anni fa e di pensare: "Ma come cacchio sono vestito?", "Ma che capelli avevo?", "Come facevo a uscire la mattina conciato così senza che mi menassero?", "E chi ha appiccicato la faccia di Bruno Vespa sul mio corpo?". Finché ti viene il sospetto di aver avuto un periodo della tua vita in cui facevi uso di allucinogeni, e proprio il fatto che non te lo ricordi è già un forte indizio.
A me, che non riguardo mai le foto, capita quando trovo le cose che scrivevo anni fa.
Come mi è successo di recente: rovistando fra pacchi di appunti dell'università, che mi servivano per preparare una lezione a scuola, è saltato fuori un fascicoletto. Vecchie poesie, datate più o meno 1997-2002. Roba che ricordavo molto vagamente di aver scritto, fra una pasticca di LSD e l'altra.
Alcune sono proprio brutte, impresentabili come un blazer anni Ottanta. Altre ve le presento qui, leggermente editate in modo da salvare almeno quel minimo di dignità.
Queste che seguono sono fra le più antiche, datate 1997. Be merciful, avevo ventidue anni.
Il seguito nei prossimi giorni.

* * *

Ho riaperto nel gelido rigoglio
della luce gli occhi scuri di sonno
e il dono del mattino è stato un mare
crespo di brividi. Il tuo nome
era un rigo di voli disteso sull'alba
e il mio cuore nel silenzio era un nido ridesto.


* * *

Sono solo sul vuoto della luce
con un tramonto assopito nella gola.

Maggio verrà, tingendoci dell'oro
che l'alba del Sud specchia nei campi

e passerà questa stagione bianca
dove la sera mi sfamo di ricordi.

* * *

Un giorno è finito. Ma all'alba di domani
quando la stanza affogherà di luce
tu saprai essere un uomo
saprai che è passato il tempo per i versi
mormorati alla luce di bambagia del tramonto
e le tue gambe avranno il passo esperto
di chi si avvia per un'erta di sassi.