domenica 30 giugno 2013

lampi - 218


Questa situazione mi pare di averla già vissuta.
Solo che era in un libro.

sabato 29 giugno 2013

that's the Canadian way! (diario canadese, 17-21 giugno 2013)

(cliccate qui, oppure scrollate in basso, per una colonna sonora:
che non c'entra niente, però mi piace...)


(Con un ringraziamento speciale a E.
per i commenti, le risate, i discorsi esistenziali
e per il fatto di esistere)


1.
Volo intercontinentale Roma-Toronto con famiglia americana fricchettona, completa di moglie mezza 'mbriaca che fa battute a cacchio e rompe le palle alle hostess.
“Yeah, we're from Buffalo!” (/bʌ:::fəloʊ:::/)

2.
Annunci babelici dall'altoparlante dell'aereo.

3.
La stessa famiglia americana che, alla fila per i passaporti, litiga su chi sia il colpevole per aver perso l'autobus a Roma.

4.
I pancakes a colazione. (Dio, quanti ricordi...)

5.
Il prato del campus, verde, ma verde verde verde, nella piena luce dell'alba. Con al centro uno spettacolare, enorme albero dalla chioma immensa.
Insomma, qualcosa di molto simile alla gioia.


6.
- Excuse me, lady, do you know where we can find something to eat?
- In the hospital!

7.
Beccare, uno dopo l'altro, per strada alle dieci di sera, gli unici tre francofoni in una città a stragrande maggioranza anglofona.

8.
Prendere un passaggio in centro da uno sconosciuto professore di informatica vietnamita che ti attacca bottone per mezz'ora.

9.
Pedoni italiani che occupano la carreggiata, mentre i guidatori canadesi aspettano pazientemente, sorridendo.

10.
Nella facoltà ormai deserta, una voce:
- Is this the CL conference?
- Signora, mi sa che è un po' in ritardo...
(Imbarazzante, incontrollabile ridarella)

11.
Pizza con un costaricano-canadese che alla fine della serata ti chiede se ti va di farti una canna.

12
- Oh, so you're not Spanish!
- No, I'm Costarican.
- Good!
(Per la serie: Freud a noi ce spiccia casa).

13.
Il tuo sudatissimo Powerpoint, nelle mani di Mr. Hakuna Matata. L'impagabile sguardo, fra il terrorizzato e il disperato, di E.

14.
“L'esperienza del vuoto nell'analisi della conversazione”.

14bis.
“Il buco nero dell'analisi della conversazione” (a.k.a. conference burnout).

15.
- I am the easy-going.
- I am the paranoid!

16.
 Plagiatrici sessantenni alla riscossa.

17.
"Ti viene da pensare: ma questi l'avranno mai vista una tetta dal vivo?"
(Che detta così suona quantomeno bizzarra, però vi giuro che il contesto era serio).

18.
Fotocopiatrici canadesi che se la prendono con calma. Con molta, molta, molta, molta calma.
(E schede per le fotocopie che giocano a nascondino.)

19.
Il rincoglionimento. Anche se lo conosci, non lo eviti.

20.
Pensare di essere rimasto solo ad attendere l'aereo.
E invece no, inaspettatamente.

21.
Smarrire chissà dove il quadernetto di appunti, disegni e poesie conservato gelosamente dai tempi del liceo. (E anche un libro appena scoperto sulle bancarelle dell'usato).

22.
Un bel panel.
Tre poesie.
Una bella notizia.
Tanto jet-lag.
E la sensazione di aver frequentato luoghi interiori che tocco raramente.


venerdì 28 giugno 2013

lampi - 217


Ci si innamora sempre delle distanze.

giovedì 27 giugno 2013

alba a Fonte Avellana



Fosse tutto così semplice

come è pulito l'orlo delle foglie
aggredite dal vento
come è spaziosa la luce
sul diapason dei tronchi.

Dov'è la fame?
Si è fermato il sangue
l'indaco ha invaso la roccia
ha gemmato il silenzio.

fonte avellana



Se avete una ventina di minuti da perdere, questo è l'intervento che ho fatto alla kermesse letteraria di Fonte Avellana, sabato scorso. Il tema è "La scrittura felice".
Di seguito, alcune foto dell'evento, e del magnifico, mistico luogo in cui si è svolto.


 
 


martedì 25 giugno 2013

viva l'italia

 

Amica Ricercatrice: - Qui a Perugia si stanno muovendo per le abilitazioni a professore associato.
Io: - Ah, bene, quindi passerai anche tu, che sei così brava.
Amica: - No, io non sono tra i selezionati.
Io: - Ma il concorso devono ancora farlo.
Amica: - Eh, già...

(la vignetta è ripresa da qui)

domenica 23 giugno 2013

lampi - 216


Il prete-poeta ha un Rolex d'oro al polso sinistro e un massiccio anello d'oro all'anulare destro. Scrive su un'agendina con una penna d'oro. Durante la conferenza, chiacchiera e scarta caramelle. A tavola, si serve per primo dall'insalatiera e con due cucchiaiate la svuota. Poi, comincia a parlare dei suoi libri. Tanti, tanti libri. Provi a parlargli di Raymond Carver: non lo conosce. Quando si arriva a parlare di premi letterari, prende avidamente appunti, segnandosene nomi e scadenze.

sabato 22 giugno 2013

tre poesie canadesi



Non nel senso che abbiano qualcosa a che fare con il Canada. E' solo che sono state scritte nei giorni scorsi, poco prima, durante o subito dopo un volo Toronto-Roma.
Sono tre strade possibili che potrei intraprendere. Insomma, tre tentativi.

* * *

AL BUIO

Troppo d'importante accade sulla soglia
dell'attenzione – mentre dimentichi di sostenere
la voce (hai visto? la corona ha perforato le gengive).
Ha ragione chi dice che è male quando
ti alzi troppo sazio. Ogni cesura è un rischio.
(Almeno si potesse rintracciare la prima
non adesso che il cielo è interrotto dalle rondini
non quando la circolazione è già viziosa).
Non eri mica costretta al gesto (si potesse
almeno segnare a dito la carne nuda).
Dopo la discesa restano aperte le ferite
tutta quella luce andrà dissipata la bellezza
è meglio sprecarla. (Dico davvero non potrei accettare
di essere io a morderti la guancia).

Perugia/Roma/Toronto, 17.06.2013

* * *

(per un progetto in fieri)

Quante sono le voci
puoi contarle dopo che ognuna ti ha ferito

la voce delle maree
la voce della doglia
la voce della lama
la voce del letargo
la voce numinosa
la voce imbestiata

c'è solo da coincidere con la terra
la terra che ha voci a miriadi.

Toronto, 17.06.2013

* * *

Gli elementi

Decidi quanto spazio concedere al respiro.
Le creature tacciono mentre l'aria si asciuga
nell'attesa che un colpo crepi la polvere
liberi il cranio secco dell'uccello.
Decidi quanto affondare i denti nella corteccia
se continuare o no a usare il tempo presente
ora che un complotto di voci ti fermenta la saliva
e i corpi vivi scuotono la luce.

Toronto, 17.06.2013

giovedì 20 giugno 2013

"la scrittura felice"_Fonte Avellana (PU), 21-23 giugno 2013



Sabato e domenica, sarò in questo posto meraviglioso, per questa bella iniziativa. Qui sotto trovate la mia presentazione e il titolo del mio intervento.
Ad ogni modo, vi terrò aggiornati.

* * *

Un fiore d'argento matto

Sergio Pasquandrea è nato nel sud-est della penisola, in uno degli ultimi decenni del secolo scorso. Il destino, che egli corteggia spassionatamente, lo ha poi portato a trasferirsi nel centro esatto dello stivale.

La poesia, da lui amata di un amore che sconfina nel masochismo, a volte gli ditta dentro. Lui scrive. Lei scuote la testa, sconsolata.

Quando la Musa tace, Sergio Pasquandrea dispone di numerosi altri modi per far danni: l'insegnamento, il giornalismo musicale, la ricerca universitaria, il disegno, la tastiera di un pianoforte.

Ha due figli che adora e una moglie che si guadagna la santità sopportandolo.


sabato 15 giugno 2013

lampi - 215


Scrivere poesie; evitare di scrivere poesia.

(Un bel dilemma...)

venerdì 14 giugno 2013

l'effetto che fa



“Si può resistere a tutto, tranne che alle tentazioni”, diceva qualcuno. E io non ho resistito. Quando ho visto questo volume in fumetteria, l'ho comprato prima ancora di averne la consapevolezza razionale.
Anche se queste storie le avevo tutte, sparse su riviste e vecchie edizioni. Dirò di più: anche se queste storie le conosco tutte a memoria e potrei recitarle battuta per battuta, onomatopea per onomatopea.
Non ho resistito perché, in generale, come si fa a resistere a Pazienza? E a questo Pazienza, poi?
Ma non è di questo che voglio parlarvi. Voglio parlarvi dell'effetto che (mi) fa rileggere Pazienza oggi, a trentotto anni.

Non so se vi rendete conto di che cosa significa avere sedici anni nel 1991, in un paesotto del Tavoliere. Aver passato gli orrendi anni Ottanta nel bel mezzo di quella desolazione umana. E amare i libri, l'arte, la musica (il jazz poi, figuriamoci).
Io sì: io lo so. Significa che sei diverso. E a quell'età non ci si rende conto che essere diversi può anche significare essere migliori. Ci si sente diversi e basta. Ci si sente lontani dagli altri, con le mani bloccate sulla barriera invisibile e incrollabile che ti divide da loro. Anche da quella ragazza che ti dimostra un interesse inequivocabile e dalla quale tu fuggi, terrorizzato non da lei ma da te stesso
Significa anche che quando scopri Pazienza (che intanto è già morto), quando vedi gli originali delle sue tavole, nella mostra che il tuo – e suo paese – gli ha dedicato (da morto), cominci a trovarci un senso, in tutto ciò che hai vissuto fino ad allora.

Ora, a sedici anni non si hanno filtri: e io mi sono letteralmente tuffato in quelle tavole, assorbendole per osmosi. Non avevo riferimenti storici, non avevo la minima idea né di Bologna, né del Settantasette, degli anni Ottanta avevo la percezione globale e dolorosa di chi li ha appena vissuti e non ne è uscito del tutto indenne. A malapena conoscevo lui, Pazienza, anche se sapevo confusamente che i miei conoscevano la sua famiglia (ma di questo ho già parlato).
Con i miei amici, i pochi che avevo, abbiamo letteralmente vissuto in quelle storie.
Adesso ne ho trentotto e sono – senza esagerare – un 'altra persona. Posso leggere le vicende di Zanardi con tutti i filtri e tutto il distacco che la cultura e il senso critico mi forniscono: ma l'intensità di quelle tavole ne esce del tutto intatta.
Anzi, è ancora più impressionante rendersi conto della lucidità con cui questo venticinquenne (tanti ne aveva quando su Frigidaire uscì “Giallo scolastico”) aveva capito tutto. La violenza, la tenerezza, la crudeltà di quegli anni, e il vuoto che ci aspettava. E come tutto si riversasse in quelle storie, senza reti protettive.
Oggi posso decodificare tutto quel che c'è di decodificabile, ma quelle storie mi trapassano esattamente come facevano allora.


Andrea Pazienza, "Tutto Zanardi" (Fandango Libri, 2013), pp. 256, € 29,50.

Il volume comprende le storie di “Zanardi” (La proprietà transitiva dell'uguaglianza, Giallo scolastico, Pacco, Verde matematico, Notte di Carnevale), negli originali di Pazienza , senza colori aggiunti.
In più, ci sono Zanardi l'inesistente, Cravatte, Lupi, le storie de I modi (Prologo, Cuore di mamma, Cenerentola 1987), La logica del fast-food, Storiella bianca, Zanardi at the war, l'incompiuto Zanardi medievale e l'onirico Zanna ma la vecchiezza è una Roma. Alcune di queste storie non erano mai state ripubblicate, o comunque non erano disponibili in commercio da parecchio tempo.

lunedì 10 giugno 2013

cosa c'è che non va?



Che mi annoio.
Dico: mi annoio a leggere le ultime cose che ho scritto (le ultime che trovate qui, ad esempio: ma non solo).
Ora, intendiamoci: quando dico “mi annoio”, non sto dando un giudizio di valore su quelle poesie, che anzi trovo, da un punto di vista squisitamente tecnico, ineccepibili.
È che mi viene troppo facile. Mi pare di ripetermi, di ricalcare una maniera. Insomma, sto imitando, e il fatto che l'imitato sia io stesso non rende la cosa meno imbarazzante, anzi se possibile la peggiora.
Non so bene quale possa essere la soluzione. Ho molte idee, ma nessuna mi sembra quella decisiva. Forse solo una: smettere di scrivere per un po', come in realtà già sto cominciando a fare. Anzi, meglio ancora: per un po', cercare coscientemente di non scrivere, finché non verrà fuori qualcosa.
Stiamo a vedere.


domenica 9 giugno 2013

metafore



Il lampascione non va cucinato, va domato.
Per i non-pugliesi, il lampascione (u lambasciul), o cipollaccio, o giacinto col fiocco – scientificamente Leopoldia carnosa o Muscari comosum – è una Lilacea edibile, tipica delle campagne meridionali. Si presenta sotto forma di un piccolo bulbo, simile a una cipolla, dal quale sporgono barbe e radici. Lo si coltiva anche, ma i più buoni sono quelli che crescono selvatici.
Di solito, chi lo vende gli dà una prima sgrossata, non sufficiente ad eliminare tutti i grumi di terra che vi rimangono incrostati. Bisogna quindi lavarlo e sbucciarlo: a questo punto si ottengono dei globi lisci, di un delicato colore bianco-rosato, quasi carnoso.
Ma non basta: il lampascione, specialmente quello selvatico, è amarissimo e coriaceo. Meglio lasciarlo a bagno per un'oretta almeno, perché spurghi i succhi di cui trasuda. Poi va cucinato.
In genere, lo si intacca prima alla base, con un taglio di diversa ampiezza a seconda della preparazione: più ramificato se si si frigge in padella (con o senza uova), a croce se lo si lessa (in acqua, oppure in acqua e aceto). Nel primo caso, va mangiato subito, nel secondo lo si può condire ad insalata, con olio sale e pepe, oppure conservarlo sott'olio, con aromi vari, origano, timo, peperoncino, a seconda dei gusti. Si può anche usare come contorno: dalle mie parti, si accompagna tradizionalmente alla carne d'agnello. Ad ogni modo, l'amaro rimane, ed è quello che gli dà il sapore.
Eppure, trattatelo quanto volete, il lampascione prepara sempre la sua vendetta: bisogna consumarlo con prudenza e misura, altrimenti risulta lassativo.
Il lampascione si mangia soprattutto in Puglia e in aree limitrofe. È un piatto contadino, che non sopporta eccessive sofisticazioni. E infatti, sta scomparendo.


sabato 8 giugno 2013

so' soddisfazioni...



"Prof, se l'anno prossimo lei non è con noi, facciamo una petizione e andiamo a protestare dal Preside!"

lunedì 3 giugno 2013

le tracce non mentono



È la nostra immaginazione che si sforza di rivestire le cose,
ma le cose sono divinamente nude.
(Marguerite Yourcenar)


Al confine del gesto

il sospetto rimane: di aver toccato i capelli sbagliati
lacerando il moto browniano dell’aria fredda.
Certo è difficile calibrare gli sforzi: i vettori si incrociano
gli angoli tanto fragili che si fa presto a diramare
l’allarme. Io però ho fiducia nei piccoli numeri
sai quegli scarti che fanno pulviscolo quello smeriglio
che ti perfora la gola. A distanza di mesi la scheggia
è ancora lì che cerca la strada e converrà prima o poi
porre un limite al silenzio. Tutto ciò che mi raccontavi
l’ho già letto: ti avevo già sfiorata nello stesso
identico modo. Solo le conseguenze erano state diverse.
(Ti hanno insegnato a stare zitta e composta e quando arriva
l’attimo lancinante hai l’unico scampo nella fuga).
Dietro il fumo però c’eri tu: le tracce non mentono le mani
erano aperte al punto giusto per guarirti lo zigomo.

il congiuntivo più veloce del west



"Papino, pelò io volevo te la mamma mi accompagnatte!"

(Lorenzo, tre anni e mezzo)