lunedì 10 marzo 2014

caelum, non animum?




Mi dissi:
Buffalo! – e il nome agì.
(Montale)



Te l'ho mai detto? Io credo negli oracoli. Ma non negli oracoli mercenari, nelle minuziose collimazioni di stelle e pianeti. I miei sono gli oracoli del caso, le forze ctonie, numinose, che governano le coincidenze.

Ad esempio. Vienimi a dire che è un caso se, in una città quasi tutta anglofona, abbiamo incrociato tre francofoni di fila; e se nessuno di noi due è riuscito a ravvivare in tempo il corpo dormiente del francese. Dimmi se è un caso che vagassimo a lungo per una strada diritta, quando tutto ciò che serviva era curvare; che guidatori pazienti sorridessero, aspettando che si attraversasse la strada; che ricevessimo risposte surreali (“Where can we find something to eat, please?” “In the hospital!”); e, nel varcare scoraggiati il cancello (la porte? le portail? la barrière?), ci imbattessimo in un buffo angelo vietnamita, che nel breve tragitto ci raccontò metà della sua esistenza.
E ora dimmi se tutto ciò non convergeva; se l'inconcinnitas della sorte non preludeva a una serata di epifanie discrete, di parole che deviavano la propria traiettoria; ma solo di poco, solo quel tanto che bastava per colpire il bersaglio da un'angolazione inaspettata.
Eri bellissima quella sera: come sempre, come ogni volta che sei te stessa. Il dolore aggiungeva appena un po' di rilievo ai tuoi zigomi.

Lo sappiamo bene, noi. Si cammina sull'orlo della catastrofe. Solo ogni tanto il passo incontra la sua orma. Sono le volte che ci si riconosce fratelli.

La strada del ritorno, chissà perché, è sempre più breve. Ma non per questo ricordo meno bene i gesti. Sai, sono inconfondibili le tue mani. Le dita si articolano come non ho mai visto fare da nessun altro. Anche quando tagliavano il buio per raggiungere un oggetto che continuava a sfuggire. Ci penso fin dalla prima volta, quando tutto ciò che sapevo di te si poteva condensare in sei sillabe. Per questo ho sempre avuto cura di osservarle, sotto qualunque meridiano. Sto tenendo una cartografia accurata, che servirà ad entrambi, in qualche punto del futuro.

La mattina dopo, il prato era verdissimo, nella piena luce dell'alba. Al centro, enorme, l'albero espandeva la chioma in tutte le direzioni. C'era qualcosa nell'attesa del tuo arrivo, qualcosa di molto simile alla gioia.

Sentivi freddo quel giorno. Nonostante tutto, abbiamo riso parecchio, come si ride quando si è molto stanchi, quando ridere è l'unica salvezza.

(E, no: non potrei mai lasciarti sola. Sono qui per te. Lo sono sempre stato.)

Poi si trattò di salutarti, nel bel mezzo di un continente sconosciuto.
Di accoglierti un'ultima volta, inaspettatamente.
Di archiviare un altro cielo.



Caelum, non animum mutant qui trans mare fugiunt.
(Orazio, Epistulae, I, 11)



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Titoli di coda...

2 commenti:

amanda ha detto...

non soffri di vertigini a fare il funambolo? sai come si fa a cadere?

sergio pasquandrea ha detto...

no, ma ho delle persone che mi reggono forte