mercoledì 30 settembre 2015

lampi

Comunque, il problema è che da giovani ci si prende troppo sul serio.
Con l'età, quando capisci di essere solo un coglione qualsiasi, tutto diventa più semplice.

martedì 29 settembre 2015

maturità

Il medico: "Quanti anni ha lei?"
Io: "Trent... ehm, quaranta."

(pensiero completo, rimasto non enunciato: "Cazzo! Quaranta...")

lunedì 28 settembre 2015

non ci sono più i bambini di una volta

"...e così tutte le piume si staccarono dalle ali di Icaro e lui cadde in mare e affogò."
"E uno è sistemato!"

domenica 27 settembre 2015

ho un figlio (o forse no)

Ho un figlio mai nato e che forse
mai vedrà la luce – abbandonato
a mani che non lo amano rifiutano
di consegnarlo al mondo.
Ho un figlio che odierò se mai nasce
potrebbe essere il mio figlio più bello.

sabato 26 settembre 2015

l'aspetto perfettivo

Perché – mi dico aprendo il cassetto – conservo
le mappe e le cartine? E perché poi ho quella
di Milano? Quand'è che son stato a Milano?
E il depliant di Riva del Garda e la piantina
della metro di Amsterdam gli autobus di Ginevra
e di altri posti dove non metterò più piede?
E in quale mai città ho segnato la strada
da Piazza Saffi al Parco della Pace? Di certo
avrò avuto ragioni ben precise ragioni
completamente elise – così come avrò avuto
una buona ragione se ho scritto questi versi
in metrica e poi ho cercato di nasconderla
(quasi che il vero l'unico passato sia soltanto
quello che è trapassato).

venerdì 25 settembre 2015

felice allo zenit

Per le edizioni de La Vita Felice è appena uscita, a cura di Stefano Guglielmin e Maurizio Mattiuzza, questa antologia, che si intitola “Zenit Poesia”.
Non è il solito pout-pourri, ma il primo volume di un progetto editoriale serio, che raccoglie otto autori sotto i quarant’anni, ognuno con otto poesie.
Fra cui (bontà loro) il sottoscritto.

 (Qui link e informazioni varie sul volume)



mercoledì 23 settembre 2015

stagioni (4)

Non chiedere (saperlo non ci è dato)
quale destino serbino gli dei,
per te o per me, Leuconoe, e non cercare
gli oroscopi caldei: quanto sarebbe
meglio accettare tutto ciò che accada,
che molti inverni ancora ci dia Giove,
o che sia questo l'ultimo, che adesso
strema le onde del Tirreno sulla spiaggia.
Sii saggia, mesci il vino, adatta il lungo
corso della speranza a un breve spazio.
Mentre parliamo, già sarà fuggito
il tempo invidioso: cogli l'attimo
e al domani non volgere un pensiero.

Orazio, Odi, I, 11
(traduzione mia)

martedì 22 settembre 2015

sestante

Non è altro l'amore se non questo
eterno ritorno. Nel tuo corpo
abito gli spazi. Li percorro
calcolando a mente le distanze.
Conosco le rade gli scali
i flussi di marea i gradi
i minuti i secondi che mi separano
dal sonno sazio dei seni.

lunedì 21 settembre 2015

una piccola botta di vanità

Su "Jazzit" n. 90 (settembre/ottobre 2015), in edicola in questi giorni, un'intervista al sottoscritto, opera del preziosissimo Eugenio Mirti.
Parlo dei miei due pargoletti, "Volevo essere Bill Evans" e la "Breve storia del pianoforte jazz".
Qui sotto il frontespizio, con una foto di me nella quale, grazie alla bravura del fotografo Andrea Polverini, sembro quasi una persona seria e affidabile.



un regalo, una bella scoperta



Fino a qualche settimana fa, ero colpevolmente ignaro del nome e della stessa esistenza di Paulo Leminski (1944-1989). Del resto, a quanto ne so questo poeta è del tutto ignoto in Italia e mai tradotto nella nostra lingua.
Poi una persona, che è l'altra metà di me stesso e che (beata lei) quest'estate è stata in Brasile, mi ha riportato in regalo il libro che vedete qui sopra. E io me ne sono innamorato.

Leminski non è una personalità facile da incasellare. Spesso è incluso fra i rappresentanti della poesia concreta, quel movimento d'avanguardia che negli anni Cinquanta e Sessanta, in Brasile (e in Svizzera, pensate un po': e non chiedetemi che cosa c'entrino...) cercò di rinnovare il linguaggio poetico cancellando l'espressione dell'Io, introducendo sperimentazioni grafiche e tipografiche, giochi linguistici e metalinguistici.
Leminski è stato anche avvicinato al gruppo (di cui in realtà mai fece parte) dei poeti marginali, che rifiutavano la grande distribuzione e producevano da sé i libri che poi si passavano di mano in mano.
Leminksi, comunque - dicevo - non è facile da classificare. Se alcuni suoi libri adottano le sperimentazioni del concretismo, in lui c'è una vena più colloquiale, ironica, unita a un'apertura verso altre forme d'arte, prima fra tutte la canzone. Negli anni Sessanta stava nascendo in Brasile il tropicalismo, e Leminski ebbe modo di collaborare con Caetano Veloso, Gilberto Gil e Tom Zè.
Usò anche abbondantemente la forma dell'haiku.

Qualche rapido cenno biografico: nacque a Curitiba, nello stato del Paranà, e studiò a San Paolo in un convento di benedettini. Si interessò di poesia, traduzione (parlava fluentemente francese, inglese, spagnolo, giapponese e conosceva bene il latino e il greco), critica letteraria, storia, e fu anche cintura nera di judo. Nel 1968 sposò la poetessa Alice Ruiz, che gli restò accanto per vent'anni.
Morì a quarantatré anni, di cirrosi epatica.

Qui sotto qualche poesia, nella mia indegna traduzione, e una canzone di Veloso su testo suo.

(P.S.: mancano le poesie grafico-sperimentali, per ovvi motivi; quelle, se ho tempo, prima o poi ve le scannerizzo.) 

(P.P.S.: mancano anche molte poesie bellissime, ma intraducibili, perché interamente basate su giochi di parole o su raffinatezze metriche, che vanno perdute in traduzione.)

* * *

 amore bastante

quando vidi te
ebbi un'idea brillante
fu come se entrassi
nell'interno di un diamante
e il mio occhio acquistasse
mille facce in un istante

basta un istante
perché tu abbia amore bastante

* * *

Dolore elegante

Un uomo con un dolore
E' molto più elegante
Cammina da una parte
Come se arrivando in ritardo
Arrivasse un po' prima

Porta il peso del dolore
Come se portasse medaglie
Una corona, un migliaio di dollari
O roba di valore

Oppio, eden, analgesici,
Non toccatemi in questo dolore
È tutto ciò che mi resta
Soffrire sarà la mia ultima opera.

* * *

Merda e oro

La merda è veleno.
Ma intanto, non c'è niente
che sia più bello
di una buona cacata.
Cacano i ricchi, cacano i padri
cacano i re e cacano le fate.
Non c'è merda paragonabile
alla cacca della persona amta.

* * *

L'assassino era lo scrittore

Il mio professore di analisi sintattica era un tipo da soggetto inesistente.
Un pleonasmo, il principale predicato della sua vita, regolare come un paradigma della prima coniugazione.
Tra una proposizione subordinata e un'apposizione avverbiale, non aveva dubbi: trovava sempre un modo asindetico per torturarci con un inciso.
Si sposò con una reggente.
Fu infelice.
Era possessivo come un pronome.
E lei era bitransitiva.
Tentò di andarsene negli U.S.A.
Non ci riuscì.
Trovarono un articolo indefinito nel suo bagaglio.
L'interiezione dei baffi declinava particelle espletive, connettivi e complementi d'agente, tutto il tempo.
Un giorno, lo uccisi con un oggetto diretto sulla testa.

* * *

Avviso ai naufraghi

Questa pagina, per esempio,
non è nata per essere letta.
E' nata per essere pallida,
un mero plagio dell'Iliade,
una cosa che taccia,
foglia che torna sul ramo,
molto dopo essere caduta.

È nata per essere spiaggia,
forse Andromeda, Andartide,
Himalaya, sillaba sentita,
è nata per essere ultima
a chi non era ancora nato.

Parole portate da lontano,
per le acque del Nilo,
un giorno, questa pagina, papiro,
finirà per essere tradotta,
in simbolo, in sanscrito,
in tutti i dialetti dell'India
finirà a dire buongiorno
a ciò che si dice solo nell'orecchio,
finirà per essere la pietra tagliente
dove qualcuno lasciò cadere il bicchiere.
Non è così che va la vita?

* * *



Verdura
(da "Outras Palavras", 1981)

All'improvviso
mi ricordo del verde
del colore verde
il più verde che esiste
il colore più allegro
il colore più triste
il verde che vesti
il verde che vestivi
il giorno che ti ho vista
il giorno che mi hai visto


All'improvviso
ho venduto i miei figli
a una famiglia americana
hanno una macchina
hanno la grana
hanno una casa
l'erba è fresca
solo così possono tornare
e prendere il sole a Copacabana

sabato 19 settembre 2015

chi (non) sono?

Io non son come gli altri e mi dispiace.
Io non son come gli altri, è un mio sconforto.
Io non son come gli altri, io so chi piace.
Io non son come gli altri, io vedo storto.

Io non son come gli altri, amo chi giace.
Io non son come gli altri, io penso all'orto.
Io non son come gli altri e non ho pace.
Io non son come gli altri e son già morto.

(Marino Moretti)

venerdì 18 settembre 2015

wu wei

La stessa catena di pensieri
pensata già tre volte
conduce allo stesso
risultato. Il libro
rimane dov'era
la polvere pure.
L'entropia non subisce
variazioni.
Il silenzio è intatto.

giovedì 17 settembre 2015

ciò che dura

Sono sempre più convinto che a durare veramente siano solo le cose apparentemente più fragili.
Come questo regalo, che mi è arrivato oggi, da parte di quello che considero uno dei più grandi poeti che io abbia mai avuto occasione di conoscere.
E che, per qualche motivo, mi onora della sua amicizia.
Sono commosso, sul serio.
 


 

mercoledì 16 settembre 2015

piccola odissea ecologica

...ovvero: chissà perché la gente butta i rifiuti in giro invece di smaltirli?

Smontiamo il vecchio mobiletto del seminterrato, con annesso piano-lavandino.
Dilemma: che farne dei pezzi? La tentazione sarebbe di abbandonarli con discrezione accanto al cassonetto dell'immondizia, ma il senso civico prevale.

Chiamiamo la GESENU, l'azienda che gestisce i rifiuti a Perugia.
"Sì, passiamo noi a prenderli."
"Okay, quando?"
"Mi faccia guardare... non possiamo prima di giovedì 8."
"8 ottobre? Ma è fra quasi un mese!"
"Prima non possiamo."
"Come dovrei fare: posso lasciarglielo sul piazzale di casa?"
"No, va lasciato sul marciapiede la sera prima, perché passeranno in mattinata, non so a che ora."
"Ma è roba ingombrante, e il mio piazzale in fondo dà proprio sulla strada..."
"E io che posso farci? Noi facciamo così. Al massimo li può portare lei a un centro di smaltimento."

A due passi da casa mia, c'è una ricicleria. Chiamiamo il numero presente sull'elenco telefonico: "non attivo" (?). Dopo un po' di ricerche su internet, scopriamo gli orari. E' aperto proprio oggi pomeriggio.
Okay, carichiamo tutto in macchina e andiamo.
Scendo, chiedo informazioni: devo smaltire questo e questo.
"Scusi, lei dove abita?"
"A Ferro di Cavallo."
"Ah, quindi comune di Perugia?"
"Sì, ma è qui a due chilometri."
"Sì, ma qui siamo a Ellera, comune di Corciano, e noi serviamo solo il comune di Corciano, per Perugia deve andare all'isola ecologica di Sant'Andrea delle Fratte."
"Okay, sono aperti adesso?"
"No, solo domani."
"Mattina o pomeriggio?"
"Non ricordo."
"Dov'è di preciso?"
"In via Penna."
"Sì, ma il numero, l'indirizzo preciso?"
"Non lo so."
L'ipotesi-cassonetto si fa sempre più vicina.

Ciò nonostante, il senso civico prevale di nuovo.
Il giorno dopo, prendiamo la macchina e andiamo in via Penna. Per chi non è pratico di Perugia, via Sandro Penna è un lunghissimo stradone nel bel mezzo di una zona industriale, all'estrema periferia della città. Ci sono solo capannoni, nessuna casa, nessuno a cui chiedere.
La percorriamo nei due sensi un paio di volte. Nessun segno dell'isola ecologica.

Stiamo per desistere, senonché, da un rapido sguardo su internet, apprendiamo che c'è un altro centro raccolta a Collestrada, una frazioncina fra Perugia e Assisi (nota un tempo per una battaglia durante la quale fu ferito San Francesco, oggi per un mega-centro commerciale che attira come una calamita la mejo gioventù perugina).
Combinazione fortunata, devo andare a ritirare la chitarra dal liutaio che si trova proprio da quelle parti. Tanto per cambiare, del centro raccolta su internet c'è indicata solo la strada (via della Valtiera), senza numero civico né recapito telefonico.
Via della Valtiera è la replica quasi esatta di via Sandro Penna, ma stavolta arriva una botta di fortuna: il centro raccolta è proprio sulla strada, anche se l'ingresso dà su una stradina bianca (il cartello che lo indica è accuratamente occultato dietro un cancello semiaperto).
Finalmente, riusciamo a smaltire i tanto sospirati rifiuti: un paio di tavole di compensato, un vecchio lavandino con relativi tubi.
Nessuno ci fa domande su dove abitiamo, potremmo essere tranquillamente arrivati da Canicattì e a nessuno fregherebbe niente.

Domanda: quanti avrebbero avuto la nostra stessa costanza?

lunedì 14 settembre 2015

premi

Risultati ufficiali del premio di poesia "Renato Giorgi".
C'è anche il vostro umilissimo blogger (terzo classificato, sezione B).



domenica 13 settembre 2015

visioni: "Scarface" (il primo), ovvero: mannaggia ai censori

Scarface (Scarface. The Shame of A Nation) (U.S.A., 1932), di Howard Hawks; con Paul Muni, Ann Dvorak, Osgood Perkins, Karen Morley, Boris Karloff; 95 min.

Mannaggia alla commissione Hays. Sì, quel gruppo di pruriginosi puritani che negli anni Trenta si misero in testa di misurare il numero dei morti ammazzati, la durata dei baci e la lunghezza delle gonne indossate dalle attrici. Senza di loro, questo capolavoro di Hawks sarebbe stato ancora più grande.
La trama è l'archetipo del gangster movie: Tony Camonte, bandito feroce e spietato, riesce a farsi strada con la violenza e il tradimento. Da semplice gregario, diviene il braccio destro del capo, quindi gli fa le scarpe, gli soffia la donna e infine lo fa fuori. Ma, all'apice della sua ascesa, lo tradisce la passione morbosa e possessiva, al limite dell'incesto, che nutre per sua sorella Ceska. Per gelosia, Tony uccide il suo migliore amico, poi si barrica nella sua casa blindata e finisce ammazzato dalla polizia. Ci sono tutti gli elementi topici del genere: sparatorie, inseguimenti in automobile, belle pupe senza scrupoli, mitra Thompson e così via.
La commissione Hays, si diceva. L'omonimo codice di condotta venne redatto nel 1930, ma entrò pienamente in vigore solo nel 1934. Quando il film venne girato, la commissione fece pressione perché Hawks riducesse le scene di violenza e modificasse alcuni dei personaggi. Ad esempio la madre di Tony, che nella sceneggiatura originale lo amava ciecamente, qui diventa una pittoresca e lamentosa paesana che maledice il figlio gangster. I censori imposero anche un nuovo finale: invece di un Tony che, grandiosamente folle, va sprezzante incontro alla morte, Hawks dovette trasformarlo, in extremis, in un vigliacco che chiede pietà piagnucolando. Non ne sono sicuro, ma sospetto che anche le scene dei colloqui tra poliziotti e giornalisti (con i primi che accusano i secondi di glorificare i gangsters e farne degli eroi) siano un parto della commissione, che impose persino il sottotitolo moraleggiante (“la vergogna di una nazione”). Per fortuna si salvò la sottotrama incestuosa con Ceska, uno degli elementi di maggior fascino del film.
Nonostante ciò, si tratta – come già detto – di un vero capolavoro, girato con stile secco e implacabile. Un classico.
Per curiosità: il protagonista è pesantemente ispirato ad Al Capone e molti episodi sono ripresi da fatti di cronaca realmente accaduti (uno fra tutti: la strage di San Valentino). Pare che Capone avesse molto apprezzato il film, al punto da possederne una copia personale.
Insomma: i boss dei casalesi che si costruivano le ville in stile Tony Montana non si sono inventati un bel niente.


sabato 12 settembre 2015

non ti pago

Premessa: ho partecipato a un noto premio di poesia (i cui esiti non sono ancora noti), intitolato alla memoria di uno fra i maggiori poeti italiani del Novecento.
Un paio di giorni fa, mi arriva una mail, in cui mi si dice che la Fondazione organizzatrice del premio è interessata a inserire i miei testi nell'Enciclopedia di poesia contemporanea, pubblicazione "riservata alla selezione, a numero chiuso ed in forma limitata, delle migliori opere in concorso".
Ah beh, penso, carini.

Apro il contratto editoriale.
Dal quale apprendo che il novero selezionatissimo degli autori consta di 150 (centocinquanta) poeti: insomma, mica tanto selezionati.
Ma il bello arriva dopo.
L'articolo 2 recita: "Le pubblicazioni verranno realizzate gratuitamente e senza alcun onere a carico dell’Aderente [cioè mio]", ma subito dopo l'articolo 3 specifica: "Con la sottoscrizione del presente atto l’Aderente si impegna a devolvere al Proponente una somma quale sua libera [libera? se mi impegno, non è  libera] donazione. Le somme versate a beneficio del Proponente non sono, pertanto, assimilabili alla fattispecie di controprestazione o pagamento di un prezzo, in quanto trattasi di libera disposizione dell’Aderente. Dette donazioni - devolute in base allo schema riportato – daranno, comunque, diritto al seguente trattamento..." e giù dettagliatissima tabella con tariffe e numero di copie, che vanno dai 200 euri e rotti per ricevere n. 8 (otto) copie, su su fino 500 euri per ricerverne una quarantina (che me ne farò mai di 40 copie di un librone da 900 pagine?).
Tradotto in soldoni: non sei obbligato a pagare, però se non paghi non ti pubblichiamo.
 
In cambio del salasso, potrò "avvalermi, in ogni ambito pubblico, del titolo di scrittore dell'Enciclopedia di Poesia Contemporanea".
La domanda sorge spontanea: mi staranno prendendo per il culo?

venerdì 11 settembre 2015

più completo

ad Antonio (leggendo il suo blog)

L'unica risposta sensata
alla domanda: “perché scrivi?”
è: “perché non posso
farne a meno”.

Non è una giustificazione
solo una presa d'atto
non serve a guarire
né a nobilitare.

Scrivo per respirare meglio
dopo aver scritto
per continuare a vivere
come prima – solo più completo.

mercoledì 9 settembre 2015

diario inglese_terzo e quarto giorno

Martedì 1° settembre

Guardare negli occhi una persona e pensare, nell'ordine:
“Non ci rivedremo per chissà quanto.”
“Sono contento di averla rivista.”
“Devo assolutamente dirle che le voglio bene.”
E non riuscirci, e scriverle una lettera.
Scrivere una lettera a una persona che è a due metri da te.

(Voler bene a una persona significa voler bene anche ai suoi difetti.
Voler bene significa guardare i luoghi che ogni giorno attraversa come se non fossero luoghi qualsiasi.)

Il primo sole in tre giorni sbuca fuori proprio quando sto partendo.
Sui sobborghi di Londra, un arcobaleno clamoroso, un semicerchio nitidissimo, con tutti i colori ben distinti, che sembra poggare proprio sulla pensilina dei binari.

Sul sedile davanti al mio si siedono due ragazzotti inglesi, con cappellini e calzoni a vita bassa. Parlano a suon di “fucking” e “fuck off”. Uno o due per frase, in media. Quello di fronte a me ha in mano un DVD; non leggo il titolo, solo la fascetta: “il più grande gangster movie mai prodotto in Inghilterra”. L'altro ha una busta da cui tira fuori una bottigliona di cognac, la stappa, la annusa, la fa annusare all'amico; poi ci si fa un selfie (con la bottiglia, non con l'amico).

“Regalo” significa “ti ho pensato”.
Poi un regalo splendido, da parte di una persona importante... beh, c'è qualcosa di più bello? Se c'è, io non lo conosco.

 Regali...

La TV inglese. La pubblicità di Trivago in inglese. Il “Dracula” di Coppola.

* * *

Mercoledì 2 settembre
All'aeroporto (a proposito, gli aeroporti mi danno sempre un senso di leggerezza, sospensione, una strana calma) un tizio si infila un paio di jeans sopra un pantalone lilla. (Problemi di peso del bagaglio, suppongo).

Il senso di sottile angoscia, quando il tuo aereo scompare improvvisamente dal tabellone partenze.

Un aereoplano che incrocia il nostro, ad alta quota, a poche centinaia di metri; velocissimo.

Cose che vedi solo dall'aereo:
la pelle maculata del pianeta, con i segni dell'uomo (campi, strade, case, città) incisi finemente come sulla superficie di un cameo;
il lato superiore delle nuvole;
l'ombra dell'aeroplano che ti insegue, chilometri più in basso;
tutti i colori dell'acqua e della terra.

Scoprire che il paesaggio umbro mi è ormai familiare – nel senso dell'heimlich tedesco: confortevole, accogliente, rassicurante – quasi quanto quello del natìo Tavoliere (e del resto, ormai ho ufficialmente passato la boa: 18 anni in Puglia, 22 in Umbria).

Lo sbalzo termico violento, crudele: partire con 10 gradi, sbarcare con 30.


Meu primeiro poema Português
  
Se eu soubesse que tinha uma irmã
se o soubesse antes
se o soubesse quando estava tão sozinho
que odiava o espelho vazio da madrugada

eu te teria procurada
só pra te dizer: você é mim – e eu sou você
e seu coraçao é a metade exacta
que falta no meu.

Você não me reconheceria
pequena como então era
e o assombro te encheria os olhos.

Mas se eu soubesse que a minha alma
não caminhava pelo mundo sozinha
eu teria sofrido menos – e sorrio mais.


La mia prima poesia portoghese // Se avessi saputo di avere una sorella / se l'avessi saputo prima / se l'avessi saputo quando ero così solo / da odiare lo specchio vuoto dell'alba // ti avrei cercata / solo per dirti: tu sei me – e io sono te / e il tuo cuore è la metà esatta / che manca nel mio. // Tu non mi avresti riconosciuto / piccola com'eri allora / e lo stupore ti avrebbe riempito gli occhi. // Ma se avessi saputo che la mia anima / non camminava per il mondo da sola / avrei sofferto meno – e sorriso di più.

martedì 8 settembre 2015

diario inglese_secondo giorno

Lunedì 31 agosto

Piove, in silenzio. Starei quasi per dire: “con discrezione”.

Una volta si faceva così: aprire la Bibbia e leggere una pagina a caso per trarne un oracolo.
E dunque ci provo, con l'immancabile Bibbia trovata nella mia camera d'albergo (che poi non è un albergo, sono le camere degli studenti nel campus dell'università, in un cottage di pietra immerso tra aiuole e prati).
Davide e Golia. Il gigantesco filisteo che sfida gli israeliti, il pastorello David che accetta la sfida “in nome del Dio vivente”, i fratelli di David che lo scacciano sprezzanti, David che rifiuta l'armatura e la spada di Saul e affronta il filisteo armato di fionda e di ciottoli raccolti al fiume. Saul che prima lo protegge, poi è invidioso di lui (perché le donne israelite hannmo cantato: “Saul ne ha uccisi migliaia, David decine di migliaia”).
Tutto ciò deve avere un senso, ma non so quale.

E le università. Quelle italiane sono vetusti, venerandi edifici che all'interno nascondono aule muffite, dall'intonaco a bolle, banchi consunti nei cui angoli si annida la polvere dei decenni. Oppure tristi esempi di cementificazione selvaggia, nati già vecchi, deturpati da murales e graffiti osceni.
Qui i campus sono sempre curatissimi; quasi mai antichi, anzi perlopiù moderni (o finto-antichi), ma immersi nel verde, disseminati di cottage dove vivono studenti e professori.
All'arrivo mi accoglie un volo di anatre, che si alzano da uno stagno circondato da prati verdissimi, salici, canneti, cespugli in fiore.





"You are not supposed to chew pasta!”
(La pasta, non devi mica masticarla!).
Risposta di un inglese a un italiano che gli aveva cucinato la pasta al dente.

Dopo una giornata di convegno, seduto ad ascoltare presentazioni; dopo la decima presentazione di fila, in nove ore; comincio a capire meglio i miei studenti.

Il pensiero dominante dell'italiano all'estero:
"Siamo l'ultima provincia, all'estrema periferia dell'impero. Siamo irredimibili. Siamo fottuti."

“Thank you very much for this interesting talk”.
Dopo ogni talk. Anche più volte.


Mi hai chiesto di non ascoltare.
Ma guardare (guardarti) mi dispiace
non posso fare a meno: perciò
misuro l'inspirazione
che ti solleva il petto a un ritmo
troppo frequente – regolo
il tempo dei miei respiri
sul basso continuo che il tuo piede
marca sulla moquette grigia.
Chiamala osmosi – contatto
a distanza (ormai lo sai).
Io però lo sento
la tensione delle mie spalle
è quella delle tue
– intendo: esattamente quella
né più né meno. Lo so
il sorriso tende gli zigomi
senza gioia.
Ogni tanto mi guardi. Mi sorridi.
Sorridi sul serio – almeno spero.
Io mi sento allargare il petto
e spero sia lo stesso per te.


Ele (side-glancing), pennarelli, settembre 2015

Secondo ristorante italiano. E questo è davvero buono. Giuro: farebbe la sua figura anche in Italia.
(E infatti è gestito da italiani).

lunedì 7 settembre 2015

diario inglese_primo giorno

Domenica 30 agosto

Aeroporto Internazionale dell'Umbria “San Francesco d'Assisi”
Nome pomposo, a cui corrisponde un minuscolo hub sperduto nella campagna umbra, con due gate striminziti da cui partono in media cinque o sei voli al giorno.

Sullo sfondo del Subasio, un aereo muove l'alettone di coda da una parte all'altra, come un enorme coccodrillo bianco che scodinzola.
Una brutta mamma inglese, bionda rubizza e traccagnotta, con un prendisole troppo corto che le sale continuamente su verso le mutande, ha in braccio un bruttissimo bambino di pochi mesi (sì, esistono anche i bambini brutti), gonfio e urlante.
Una bimba con un vestitino a fiori fa i capricci sdraiandosi per terra. Ogni tanto, come fanno i bambini, si dimentica di piangere perché si è incantata a guardare qualcosa. Il padre, più giovane di me, una cascata di riccioli biondi su una simpatica faccia barbuta, le parla con calma, a bassa voce, mentre prende dei biscotti da uno zaino con su stampato il logo degli AC/DC.

Io scrivo; tanti leggono, su carta o su iPad o su Kindle. La mia preferita è una ragazza dai grandi occhi grigioverdi, capelli lunghi biondo-cenere; non carinissima, soprattutto la bocca, troppo grande e troppo larga per il visino tondo; sta di fronte a me, seduta a terra, a gambe incrociate, immersa in un libro di Virgina Woolf. Dopo un po' leggo anche il titolo: “Orlando”, uno dei miei favoriti.
È talmente assorta che resta lì mentre tutti intorno a lei vanno verso l'imbarco. All'improvviso si riscuote e si guarda intorno, quasi smarrita.
(Conosco quella sensazione: il ritorno alla realtà; dal mondo scritto al mondo non scritto, come diceva Calvino; quasi un parto).
(C'è anche una morettina, italiana, che legge “Le notti bianche”).

Al centro del gate, un branco di trolley con le maniglie tirate su, come fenicotteri alla pastura.

Joys and pains of being overzealous.


Telling outfits.
Età stimata: fra i 35 e i 40.
Camicia bianca, aderente, con colletto a due bottoni e orli neri, aperta sui pettorali. Grossa cinta rossa, blu e verde. Jeans aderenti color kaki. Scarpe da tennis fighette. Capello rasato fino alla tempia. Occhiali da sole con montatura sottile dorata. Orecchino a sinistra, orologione quadrato, anello al mignolo sinistro, braccialetto d'argento al polso destro, piercing sul lato della narice.
Modello tamarro sofisticato.

L'aereo mi mette sonno.
Però, per motivi di natura essenzialmente anatomica (lunghezza dei miei femori non compatibile con quello che le compagnie aeree chiamano “leg room”), posso dormire soltanto in due posizioni: o con le gambe di traverso nel corridoio, se ho il posto sul corridoio, mettendo però a repentaglio i miei stinchi, nonché l'incolumità di passeggeri, hostess e steward; oppure in posizione fetale, con le gambe rannicchiate davanti a me, puntate sul sedile davanti, un gomito contro il ginocchio e la testa appoggiata alla mano. Quest'ultima posizione è particolarmente scomoda se ho appena mangiato, per ovvi motivi di compressione dei visceri.
Metteteci anche che, sempre per dimensioni anatomiche, la mia testa di solito arriva parecchio al di sopra dei poggiatesta, che quindi vanno a insistere proprio sulle vertebre cervicali.
Chicca finale, l'aria condizionata che mi dà un'insopportabile senso di secchezza delle fauci (come recitano i bugiardini delle medicine) e della pelle, soprattutto i palmi delle mani.
Insomma, decisamente non sono fatto per volare.

Chissà se poi il mio amico Marco ha fatto pace con Paolo Nori. All'aeroporto ho trovato un suo libretto, che poi è un opuscoletto di una settantina di pagine, con la trascrizione di due conferenze.
L'ho letto nelle due ore e rotti del volo. Gradevole, leggero. Non mi ha lasciato quasi niente.

Da due giorni tento di scrivere una poesia di cui ho solo il primo verso e mezzo: “Non è altro l'amore se non questo / eterno ritorno...”. Mi sa che getto la spugna.
(Lei – la poesia – continuerà a bussare alla porta. Io non rispondo).

L'autista del taxi è un simpatico donnone grosso come un armadio, che parla con un tremendo, sincopatissimo accento nel quale fatico a segmentare le parole. Durante il tragitto, ascolta qualcosa alla radio, che poi – sentendo nominare Valentino Rossi – capisco essere la cronaca del gran premio di motociclismo. Ogni tanto alza il volume, impreca a bassa voce e lo riabbassa. L'unico giornale che ha in auto è una rivista di Formula 1.

Il senso di nausea, cominciato in aereo, peggiora in taxi. Il panino al prosciutto si aggira da qualche parte intorno alla bocca dello stomaco. Non aiuta l'aria fredda a manetta, né la guida a sinistra, che mi dà sempre un sottile senso di disagio.

Quello che noto quando vengo in Gran Bretagna è che le città inglesi si presentano con una sorta – come dire? – di medietas. Mancano di quei picchi di bellezza – e di bruttezza – delle città italiane. I nostri centri storici meravigliosi, intervallati da orrendi palazzi da speculazione edilizia, o circondati da opprimenti dormitori in cemento.
Qui si percepisce la superficie lisa, ma viva, dell'esistenza quotidiana. L'ordine, la cura. Manca – anche nelle case private – quello sfoggio di eleganza di tante case italiane. La moquette non è sempre immacolata, i mobili spesso difettano di gusto. Però i giardini sono ben tenuti, le strade pulite. A noi italiani può sembrare tutto grigio, spento, anonimo, persino deprimente; ma le facciate di mattoni rosso-neri, i segni dell'edera che si arrampica sull'intonaco, la maniglia resa lucida da anni di uso, mi trasmettono, in qualche strano modo, un senso di tenerezza.

Guardare negli occhi una persona e pensare: “Ah, ecco che cos'era quel senso di vuoto proprio al centro del petto. Mi mancava un pezzettino di anima. Eccolo qui, l'ho ritrovato”.

Tagliatelle alla bolognese (taliatèle balanìììììz): tagliatelle cotte quasi decentemente, sugo più che passabile.
Tiramisù: accettabile.
Considerato che siamo in Inghilterra, è andata bene.
(Lo so, lo so: non si dovrebbe mai mangiare cibo italiano all'estero. Ma stasera mi sentivo fortunato).
Comunque lo chef, tale Jaimie, pare sia uno di quei cuochi à la page, che scrivono libri e vanno in TV.

domenica 6 settembre 2015

stagioni - 3

Ecco il fanciullo acquatico e felice
ecco il fanciullo gravido di luce
più limpido del verso che lo dice.
Dolce stagione di silenzio e sole
e questa festa di parole in me.

Sandro Penna

sabato 5 settembre 2015

stagioni - 2

In me tu vedi quel tempo dell'anno
quando le foglie gialle, o poche, o nulla
tremando pende dai rami nel gelo,
nude rovine, un tempo gaie di uccelli.
In me del giorno tu vedi il crepuscolo
quando a sera svanisce ad occidente,
sprofonda a poco a poco nelle tenebre,
come in mortale sigillo di pace.
In me tu vedi balenare un fuoco
che giace in ceneri di gioventù
come nel letto in cui dovrà spirare
consumato da ciò che gli dà vita.
Questo tu vedi, e questo ti fa amare
più forte chi tra breve perderai.

William Shakespeare, Sonetto 73 – traduzione mia

venerdì 4 settembre 2015

ex ore vulgi

"O Rizziè, ma che ce vè a fa' 'n montagna? Guarda che te rompi i cojoni. Le giornate dilì en lunghe, dopo mpo' 'n sè più che fa'!"
"Guarda, io 'l sè che fo? Me porto 'n martello e me ciacco i diti, cussì 'mmannoio de sicuro!"

(sentita dal barbiere)

giovedì 3 settembre 2015

dicono di me

Una recensione di "Oltre il margine" da parte di Caterina Camporesi.

martedì 1 settembre 2015

recensioni in pillole - "Le sabbie di Marte"

Arthur C. Clarke, Le sabbie di Marte, Romanzi di Urania n. 150, luglio 2015 (edizione originale: 1951); 229 pp., € 6,50

Ammetto che le mie frequentazioni con la fantascienza sono piuttosto occasionali, però ogni tanto un bel libro me lo leggo volentieri.
Arthur C. Clarke (1917-2008), anzi sir Arthur, è ovviamente l'autore del romanzo che sta alla base di 2001: Odissea nello spazio, oltre che co-autore della sceneggiatura del film. Ma Clarke fu anche molto altro: autore di moltissimi libri di sci-fi (insieme a Heinlein e Asimov, è considerato uno dei maestri del genere), divulgatore scientifico sulla stampa e in TV, esploratore subacqueo, nonché laureato in matematica e fisica e, durante la II Guerra Mondiale, uno dei primi ad usare i nuovi radar antiaerei. Passò gli ultimi anni della sua vita in Sri Lanka, dedicandosi alla sua passione per le immersioni, e provate a chiamarlo scemo...
Ora, il mio problema con la fantascienza è che spesso suona irrimediabilmente datata: astronavi su cui non c'è traccia di computer, mondi futuribili sui quali si comunica via radio e telegrafo, calcolatori che funzionano a valvole, costumi anni Settanta, e così via.
Qui, Clarke riesce invece nell'impresa di costruire un romanzo di fantascienza perfettamente verosimile, che immagina le difficoltà dei primi coloni impegnati a rendere abitabile il pianeta Marte. Per tutto il testo, non ci sono quasi elementi spettacolari: niente duelli stellari, niente dischi volanti, niente alieni con le antennine verdi (i marziani in realtà ci sono, ma sono molto diversi da come li si immagina di solito), niente eroi in tute scintillanti. Piuttosto, descrizioni di laboratori, sistemi di produzione dell'ossigeno, cupole isolanti, respiratori, fuoristrada.
In effetti, un plot romanzesco c'è: la storia di uno scrittore di fantascienza, inviato su Marte per realizzare un reportage, e che lì troverà un nuovo senso per la sua vita e anche l'occasione per rimediare ad alcuni errori del passato. E poi c'è una sottotrama di fantapolitica: ma anche lì niente di epico o di mozzafiato.
Come tutto ciò risulti in un romanzo interessante e a tratti persino avvincente, lo si deve ovviamente alla penna di Clarke. Lettura estiva più che gradevole.