martedì 6 ottobre 2015

recensioni in pillole: "ABBA ABBA", un divertissement di Anthony Burgess

Anthony Burgess, ABBA ABBA, Vintage Classics, 2000 (127 pp.; 5,99 sterline)

Certe volte, mentre leggo libri in altre lingue, mi viene da pensare a come si potrebbero tradurre. Mentre leggevo questo ABBA ABBA in inglese, mi veniva da pensare “Oddio, povero il traduttore!”. Perché se è vero che qualunque opera d'arte è radicata nella lingua in cui è stata scritta, questa di Anthony Burgess (sì, quello di Arancia meccanica: proprio lui) è tutta un'acrobazia linguistica. Continui giochi di parole, neoconiazioni, personaggi che mimano questo o quell'accento. Insomma, un casino, per dirla alla francese.
Il meccanismo da cui parte Burgess è quello del “what if?”: “che cosa sarebbe successo se?”. In effetti, in questo caso il “what if?” è parecchio plausibile, anzi è addirittura possibilissimo che sia successo davvero, anche se nessun documento lo prova. Che cosa sarebbe successo se John Keats, il quale nel 1820 stava morendo di tisi a Roma, a soli venticinque anni, in un camera d'affitto affacciata su Piazza Navona, avesse incontrato Giuseppe Gioacchino Belli, all'epoca giovane funzionario pontificio, appena qualche anno più vecchio di lui, che cominciava a scrivere i sonetti romaneschi per i quali sarebbe poi diventato celebre?
Il risultato è un romanzo breve, o un racconto lungo se preferite (sono un centinaio di pagine), che ha in realtà molte facce: narrazione storica, indagine su due personaggi antitetici (l'inglese neo-pagano Shelley e il romano catto-blasfemo Belli) e non ultimo – come ho già detto – raffinato gioco metalinguistico. Perché, tanto per dirne una, c'è tutta una sottotrama su Keats che traduce in inglese un sonetto romanesco di Belli, fatto essenzialmente con i diversi nomi dell'organo maschile.
Ciliegina sulla torta, Burgess inserisce addirittura un'appendice in cui traduce (o dovrei meglio dire: reinventa) in inglese-mancuniano un'ottantina di sonetti belliani. Peraltro, va notato che Burgess – egli stesso poeta (e pure musicista se è per questo) – era anche sposato con un'italiana, per di più linguista e traduttrice (chi si somiglia si piglia...) e soggiornò a lungo in Italia, Roma inclusa. Chi ha letto Arancia meccanica sa bene quanto il gusto per i giochi linguistici fosse parte integrante del suo stile.
Insomma, per me leggerlo è stato un godimento. Tradurlo dev'essere stato un'impresa ai limiti del masochismo (è stato tradotto, qualche anno fa: Edizioni Robin, 1999, non più in catalogo credo; traduttore S. Marano).
Due parole sul titolo: ABBA è ovviamente lo schema di rime di una quartina di sonetto; ed è anche il grido di Gesù sulla croce (“Padre, padre, perché mi hai abbandonato?”); ed è anche la versione speculare delle iniziali di Anthony Burgess (che in realtà si chiamava John Burgess Wilson, ma si sa che degli scrittori ciò che conta è il nom de plume). “ABBA ABBA” è scritto anche sulla tomba di Burgess, nel cimitero di Monaco.
Burgess non si può negare che avesse una mente contorta; ma il bello è proprio questo.


Nessun commento: