lunedì 2 novembre 2015

recensioni: Claudius, the God, o dei sequel senza il buco

Robert Graves, I, Claudius, Penguin, 1979 (ed. originale 1935)

Non tutte le ciambelle riescono col buco, dice il proverbio. Lo stesso dicasi dei sequel.
Il primo libro che Robert Graves dedicò alla vita dell'imperatore romano Claudio, I, Claudius, mi era piaciuto molto quando lo lessi, qualche anno fa. Lì, con un bell'equilibrio tra fedeltà storica e invenzione romanzesca, Graves (1895-1985), grande esperto del mondo classico, ricostruiva l'esistenza di Claudio, dalla nascita fino all'anno 41 d.C., quando del tutto inaspettatamente, all'età di cinquant'anni, venne acclamato imperatore dai pretoriani, mentre era ancora caldo il cadavere del suo predecessore (e nipote) Caligola.
Del resto, la materia non mancava: la prima parte della vita di Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico (questo il nome completo da imperatore: quello originario era Tiberio Claudio Druso), svoltasi tra il 10 a.C. e il 54 d.C., attraversa uno dei periodi più affascinanti e sanguinosi della storia romana, quello che vide i regni di Augusto, Tiberio e Caligola. Claudio stesso è un gran personaggio: nato zoppo e balbuziente, per anni fu considerato da tutti un mezzo idiota, ma proprio questo gli permise di sopravvivere alle tremende e cruentissime faide familiari dei Giulio-Claudii, ritirandosi a vita privata e dedicandosi agli studi eruditi nei quali, a detta degli antichi, eccelse (le sue opere sono purtroppo perdute, compresa una storia degli Etruschi con annesso vocabolario etrusco-latino).
In I, Claudius, in realtà, a troneggiare era il personaggio di Livia, l'ultima moglie di Augusto, che Graves ritrae come una tirannica matriarca, una vera e propria dark lady pronta a passare sul cadavere di chiunque pur di raggiungere i propri machiavellici scopi politici.
In Claudius, the God, gli va meno bene, perché il regno di Claudio fu molto meno ricco di tratti pittoreschi, rispetto a quello dei suoi predecessori (con un paio di eccezioni, di cui dirò fra poco). Di conseguenza, la narrazione si riduce spesso a un elenco alquanto arido di fatti, decreti, leggi, riunioni del Senato, campagne militari, cerimonie, nel quale l'erudizione storica dell'autore gli prende un po' troppo la mano. Con il risultato di una narrazione che presenta pochi motivi di interesse per chi non sia specificamente appassionato della materia (come lo sono io, che infatti l'ho letta con un certo piacere).
Le eccezioni, dicevo. Una è il personaggio di Erode Agrippa, il re di Giudea che fu amico d'infanzia di Claudio e la cui movimentata biografia costituisce quasi un romanzo-nel-romanzo. Le pagine in cui Graves la narra sono le più divertenti e godibili del libro. Un'altra è Messalina, la perversa e debosciata moglie di Claudio, che purtroppo viene sfruttata molto meno di quanto si sarebbe potuto. L'ultima sono gli anni estremi del regno di Claudio, quando sposò la terribile Agrippina e adottò come successore suo figlio Lucio Domizio Enobarbo, meglio noto alle storie come Nerone; ma anche questi personaggi appaiono quasi di scorcio, nelle ultimissime pagine del romanzo.
Il retro di copertina della mia edizione paragona bombasticamente il protagonista al dostoevskiano principe Mishkin. Più realisticamente, direi che il Claudio di queste pagine è un patetico idiota, pieno di buoni propositi, sempre manipolato da qualcuno (le sue mogli, i suoi liberti) e infine ridotto a un vecchio cinico e disilluso, una sorta di Luigi XV ante litteram (après moi, le déluge...).
Insomma: se avete un interesse specifico per la storia romana d'età imperiale, leggete pure questo libro. Altrimenti, meglio limitarsi al primo volume, che consiglio caldamente.

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