martedì 13 settembre 2016

cinque poesie di Luciano Erba

Vorrei passare alla storia
come un’unità di misura
Watt Volt Faraday
oppure dare il nome a una scala
come Mercalli Fahrenheit Réaumur
la mia sarebbe la scala della noia
al grado uno la pioggia di novembre
al due i locali notturni
al tre, quattro… scegliete voi
e così via, fino al nove, me stesso.

* * *

Gli addii

potrebbe essere l’ultima volta che li vedo
mi dici dei tuoi compagni di classe
che ti hanno fatto far tardi
oggi che è finita la scuola
dovrei sgridarti e sto invece ad ammirare
i tuoi quaderni ben ordinati
(con qualche sbavatura d’inchiostro
di dita sudate di giochi di giugno)
in autunno andrai alle superiori
e questa tua bella scrittura un po’ tonda
potrebbe essere l’ultima volta che la vedo.

* * *

Le giovani coppie del dopoguerra
pranzavano in spazi triangolari
in appartamenti vicini alla fiera
i vetri avevano cerchi alle tendine
i mobili erano lineari, con pochi libri
l’invitato che aveva portato del chianti
bevevamo in bicchieri di vetro verde
era il primo siciliano della mia vita
noi eravamo il suo modello di sviluppo.

* * *

se mai ti ricorderò come una madonna senese
tu così bruna, poco ovale, assai illirica
sarà che a volte nel segreto degli occhi
passò una luce d’immensa dolcezza
e tanto bastò perché apparisse un ciel d’oro
di pietà, di letizia sulla selva dei tuoi capelli.

* * *

Senza bussola

Secondo Darwin avrei dovuto essere eliminato
secondo Malthus neppure essere nato
secondo Lombroso finirò comunque male
e non sto a dire di Marx, io, petit bourgeois
scappare, dunque, scappare
in avanti in dietro di fianco
(così nel quaranta quando tutti) ma
permangono personali perplessità
sono a est della mia ferita
o a sud della mia morte?

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