sabato 29 aprile 2017

nuova rubrica

...su Carte sensibili, dove esplorerò i nessi tra parola poetica e musica.
Nella prima puntata, parlo di Chico Buarque (e, incidentalmente, anche di Bob Dylan).
A volte il caso offre soccorsi inaspettati.
Mentre, di fronte allo schermo del mio computer, meditavo su come iniziare questo articolo, mi è arrivato a casa il numero di “Poesia” di marzo. L’ho aperto, ho scorso l’indice e ho trovato ben due articoli sul premio Nobel per la poesia assegnato a Bob Dylan
[...] Mi sono andato a leggere i due articoli, uno di Nicola Crocetti, l’altro di Alessandro Carrera. [...]
L’articolo di Carrera dice molte delle cose che avrei voluto dire io in questa prima puntata della mia rubrica. E quindi, cito:
“C’è qualcuno che può negare che la canzone sia una delle forme d’arte cruciali del nostro tempo? E se mi si obietta che il novanta per cento delle canzoni è spazzatura, vi posso assicurare che lo è anche il novanta per cento della poesia (lo dico da giurato in un premio di poesia). E poi la canzone non è nata ieri. Il canto è il medium più antico della poesia. Chiedete a un grecista se la lirica greca veniva scritta per essere letta in religioso silenzio, e si metterà a ridere. […] La pagina come la intendiamo noi è un’invenzione del Rinascimento, coincide con la nascita della stampa a caratteri mobili. La poesia esisteva ben prima della pagina e continuerebbe ad esistere anche se non ci fossero più i libri.”

(...continua su Carte sensibili)

venerdì 28 aprile 2017

consigli per gli acquisti

"Nicola Rubino è entrato in fabbrica" di Francesco Dezio fu pubblicato da Feltrinelli nel 2004. Poi la prima edizione è andata esaurita e il libro è fuori catalogo da anni.
E invece si tratta di uno dei pochi esempi veri e forti, nella letteratura recente, di romanzo operaio: l'odissea tragicomica di un ragazzo pugliese che entra in fabbrica per finire schiacciato da un sistema alienante.
Ora TerraRossa Edizioni, una piccola casa editrice meridionale nata da poco, ripubblica il romanzo. Alla faccia di chi pensa che il romanzo operaio sia morto negli anni Settanta.
(E anche alla faccia dei c.d. "grandi editori", leggesi: catene di montaggio editoriali.)

Leggetelo: vivamente consigliato.
(E in bocca al lupo all'editore.)

venerdì 14 aprile 2017

aver capito qualcosa

Ieri, a Perugia, c'era ospite Stefano Dal Bianco, invitato da Umbria Poesia. Dal Bianco ha prima incontrato gli studenti del mio liceo e poi, insieme ad Anna Belozorovich e Tommaso Di Dio, ha parlato di "Poesia e danza".
Un bel pomeriggio, pieno di idee e di suggestioni.

Durante l'incontro con gli studenti del mio liceo (al quale hanno partecipato anche Maria Borio e Francesca Ippoliti), Stefano Dal Bianco ha detto una cosa che risuona molto con ciò che sto meditando negli ultimi tempi.
Ha detto (riassumo, sperando di rispettare lo spirito, se non la lettera delle sue parole) che una poesia, per quanto ben riuscita formalmente, non può limitarsi al catalogo delle sfighe private dell'autore. E invece è quello che il più delle volte capita: l'autore scrive "oh, quanto sto male", il lettore ci si riconosce, e morta lì (lo stesso vale anche se l'autore scrive "oh, quanto sto bene"). Rassicurante, certo, ma inutile.
Invece un poeta dovrebbe - parole testuali- "aver capito qualcosa del mondo". Dovrebbe poterci insegnare qualcosa, dirci perché siamo qui. Insomma, darci delle risposte. La letteratura, in origine, era un'attività sapienziale, e tali erano Dante, Shakespeare o Leopardi.

A quel punto ho capito perché negli ultimi tempi non mi va di scrivere, e infatti sono due o tre mesi che non scrivo praticamente niente, né ho voglia di farlo.